[...] To realize the relative validity of one’s convictions and yet stand for them unflinchingly is what distinguishes a civilized man from a barbarian.

–Joseph Schumpeter, Capitalism, Socialism and Democracy

mercoledì 10 ottobre 2012

Estate Liberi! - agosto nelle Terre di don Peppe Diana



Etimologicamente il termine “vacanza” deriva da “vacuum”, cioè spazio vuoto, libero. Tuttavia questo diventa un significato riduttivo del termine se si da per scontato che l’estate debba essere un momento di completo estraniamento nei confronti della realtà sociale in cui viviamo. L’associazione LIBERA, con i 6000 volontari che ogni anno si attivano nei suoi campi estivi di lavoro, la pensa in modo diverso: il periodo estivo è un periodo libero dallo studio e dal lavoro, ma non dall’impegno sociale.
Abbiamo infatti trascorso sei intensi giorni a Castel Volturno, in Campania, nel campo di lavoro Le terre di don Peppe Diana, intitolato al parroco ucciso dalla camorra a Casal di Principe il 19 marzo 1994. Qualche anno fa, grazie all’’impegno di Libera Terra e di un gruppo di soci volontari, la proprietà è stata inserita in un progetto di riutilizzo di beni confiscati alla mafia, in questo caso al boss Michele Zaza. Il 17 maggio 2012, alla presenza delle autorità locali e del presidente di LIBERA don Luigi Ciotti, all’interno del campo è stato inaugurato un caseificio gestito da cinque giovani:  Massimo Rocco, Teodosio Pirone, Mario Minieri, Roberto Fiorillo ed Enrico Massimilla. Il pezzo forte della loro produzione? Le mozzarelle di bufala della legalità. Qui le nostre mani sono servite quanto il nostro pensiero, perché questa terra, nascosta da un aspetto aspro e spaccato dal calore, gratifica con la fertilità le dita che si immergono in lei, che si sporcano di lei. Nei luoghi dove i campi vengono bruciati per minaccia o per mandare la verità in cenere, il lavoro non è solo una protesi delle belle parole, ma è l’unica base reale per ridare forma, volto e operosità. La pulizia delle selvatiche, ma meravigliose baie circostanti era uno dei nostri compiti come volontari. La sfrenata ricerca di appalti e di affari ha raggiunto anche il mare: in queste spiagge l’immondizia stratificata e fossilizzata, proveniente dagli stabilimenti balneari, ha preso il posto della sabbia fine e scura. Prima di partire, ci era stato ricordato di portare un paio di guanti da lavoro e scarpe resistenti: di fronte ai cumuli informi di sporcizia di ogni tipo, capisco il perché. Persino con l’aiuto di pale e rastrelli è stato difficoltoso riuscire ad estrarre anche solamente la metà dei rifiuti abbandonati. Plastica, rottami, pezzi di elettrodomestici, frammenti di vetro e molto altro, nascosto dalle sterpaglie, ma in quantità tali da non poter essere ignorato. Non tutta l’immondizia era inorganica: proprio all’entrata di uno degli stabilimenti, il cadavere di un cane, ormai guastato dal calore, completava il quadro inquietante, fino a che noi non ci siamo preoccupati di seppellirlo. Sui muri che circondano il bene dove eravamo ospitati, c’è scritta una frase di don Peppe Diana: Per amore del mio popolo, non tacerò, ma è stato difficile trovare le parole giuste quando alcuni cittadini ci hanno scrutato con sufficienza, per poi commentare: “ ‘sti polentoni, vogliono raccogliere la nostra merda”. L’amaro in bocca rendeva difficile anche pensare.
Ma forse l’esperienza più gratificante dell’intera settimana è stata l’attività nel caseificio. Infatti, se la pulizia delle spiagge era un’attività sul territorio, svolta in appoggio ad altri gruppi di volontariato attivi nell’area, la produzione della mozzarella è stato il momento in cui si è davvero lavorato nel bene confiscato alla camorra, producendo qualcosa di positivo in una località prima inutilizzata dalla società civile. Il lavoro per fare la mozzarella e la ricotta viene svolto generalmente di notte, per avere il mattino dopo il prodotto pronto per la distribuzione sul mercato. Si inizia a lavorare alle 9 di sera per finire alle 4 del mattino, in un ambiente umidissimo a causa del vapore che si libera nei vari passaggi della lavorazione. L’attenzione non può mai venire meno: se si sbagliasse il calcolo del pH del liquido di governo (il liquido che contiene la mozzarella nelle confezioni) o nel calcolo della salinità del caglio, il gusto del prodotto verrebbe irrimediabilmente compromesso e lo stesso rischierebbe di marcire in un solo giorno.
Non si pensi che gli attuali casari delle Terre di don Peppe Diana sognassero fin da bambini di produrre mozzarelle in un terreno confiscato alla mafia. Esemplare è la vicenda di Massimo Rocco, presidente della cooperativa sociale: diplomato presso l’Accademia del Cinema a Roma, aiuto-regista in alcune produzioni di Cinecittà, stanco di un’ambiente troppo lontano dai suoi desideri, ritorna nella sua città di origine, Caserta, e decide di attivarsi per la sua regione. Impara il lavoro del casaro e accetta di guadagnare pochissimo, a fronte di un impegno continuo con il quale rischia la vita. La scelta era tra il continuare a vivere nel silenzio o prendere coscienza dell’importanza del lavoro e delle risorse offerte da una terra curata e rispettata.

 Martina Melgazzi e Marco Castelli