[...] To realize the relative validity of one’s convictions and yet stand for them unflinchingly is what distinguishes a civilized man from a barbarian.

–Joseph Schumpeter, Capitalism, Socialism and Democracy

sabato 24 gennaio 2015

Recensione: "La disobbedienza civile" di Henry Thoreau


Il solo obbligo che io ho il diritto di arrogarmi è di fare sempre ciò che credo giusto
(Thoreau; La disobbedienza civile)

 “Gli ordini che tu gridi non hanno tanto nerbo da far violare […] regole sovraumane, mai scritte. […] Regole non d’un ora, non d’un giorno fa” dice Antigone al sovrano Creonte, iniziando nella tradizione occidentale, l’idea dell’opposizione al potere costituito.
Se nei secoli successivi il suo esempio ha trovato espressione soprattutto come resistenza contro il potere assoluto e dittatoriale ed in tale veste ha trovato prima dignità di principio costituzionale nella Convenzione dei diritti dell'uomo e del cittadino del 1789 e poi definitiva accettazione universale nel "metodo nonviolento" applicato di Ghandi, la continuazione forse migliore del contrasto dell'eroina sofoclea penso si possa trovare nel pamphlet le “La disobbedienza civile” (1849) del filosofo Henry David Thoreau.
Questo scritto, nato per criticare la schiavitù e le guerre espansionistiche del giovane stato americano, ha il merito, grazie anche alla tipica visione individualista-liberale statunitense, di riportare ad un livello personale  il contrasto: non contro un’oppressione politica ma per la ben più solitaria e radicale disapprovazione delle scelte governative.
“Ciò che io devo fare, è procurare di non prestarmi all'ingiustizia che condanno”, scrive Thoreau, facendo quindi derivare da questo assunto il suo rifiuto a pagare imposte che potrebbero essere utilizzate per guerre e per sostenere lo schiavismo nel sud.
“Penso che dovremmo essere uomini prima di essere sudditi. Non é da augurarsi che l'uomo coltivi il rispetto per le leggi ma piuttosto che rispetti ciò che é giusto” prosegue il filosofo, toccando tuttavia quello che può essere considerato il punto più fragile del suo discorso: qual è il vero giusto? Quale giusto può essere più giusto degli altri? E come volere affermare il proprio giusto in un contesto nel quale la volontà generale ha dato altre risposte?
Ferite aperte nella nostra società, se non addirittura alla base stessa delle nostre democrazie.
É stato scritto che “Antigone deve sfidare Creonte per essere Antigone, perché Creonte sia Creonte” , eliminando quindi ogni possibilità di sintesi tra i due “giusti” antitetici. Forse, dopo le varie utopie e distopie di stato etico, corporativo ed organico del Novecento, non possiamo che essere d'accordo con questa affermazione…
Al riguardo il filosofo inglese Popper soleva dire che il nucleo della democrazia non va cercato nei meccanismi istituzionali più o meno efficienti, ma in quell’atteggiamento per cui non ci si arrende mai : arrancando a tentoni, ponderando nell’impegno politico ideale e prassi, utopia e fermezza, ma sempre convinti – con Thoreau - del fatto che "Non importa quanto piccolo possa sembrare l'inizio: ciò che fu fatto bene una volta, è fatto per sempre"