[...] To realize the relative validity of one’s convictions and yet stand for them unflinchingly is what distinguishes a civilized man from a barbarian.

–Joseph Schumpeter, Capitalism, Socialism and Democracy

martedì 4 novembre 2014

Caro Cecco

27/X/2014
cimitero di S.Francesco di Paola

Caro Cecco,
      ho molti ricordi che mi si accavallano nella mente, nonostante il breve tempo passato assieme, e mi sento particolarmente a disagio, in quanto, nonostante il contesto in cui ci troviamo e nonostante la drammatica notizia della tua morte, non posso che sorridere quando ripercorro i momenti che ho vissuto con te.
Sorrido, quando ricordo una tua discussione con Lino sul numero di ragazze incontrate da partigiani. "Ogni donna a lui dona un sospir", vero?
Sorrido, quando ripercorro il corteo del 25 aprile di Roncadelle che, ad un certo punto, si biforca, con i gonfaloni ufficiali che vengono portati verso la chiesa e le delegazioni dell'ANPI, guidate dal tuo passo lesto, che si dirigono al bar per festeggiare l'anniversario.
Sorrido, quanto richiamo alla mente il tuo tono da cospiratore mentre mi raccontavi di come uscivi di casa per andare a mangiare la carne che, nella tua famiglia vegetariana, non trovavi.
Sorrido, quando ripenso alla tua spiegazione per il fatto che se sui muri si scriveva W STALIN non era solo per motivazioni ideologiche, ma anche perché Churchill nessuno sapeva esattamente quante “h” avesse.

Sei riuscito a farmi sorridere anche pensando a quando, davanti alle ingiustizie ad ai processi ai quali venivano sottoposti, per furto, i partigiani, hai provato a risalire in montagna, sfidando ancora una volta la storia. Ti fermò Nicoletto, allora, da quel tentativo che forse era di altri tempi, esclusi ormai i comunisti dal governo, ma che dimostrava ancora la tua adesione spontanea, naturale, ad un'idea di giustizia basata sul riconoscimento dell'impegno personale, sulle opere umane, non sulle rendite di schieramento e sull’accettazione passiva delle situazioni contingenti.
Ed è stata la stessa idea di giustizia che ti aveva portato, appena sedicenne, appena entrato in fabbrica, ad organizzare con i tuoi compagni le prime azioni di ribellione, coperte da motivi sindacali, contro il potere tirannico.
Ed è stata la stessa ricerca che ti faceva sentire ancora oggi in colpa per aver mangiato, un giorno, la minestra riservata alle tue sorelle. Era una storia che raccontavi sempre, un po’, forse, per descrivere ai ragazzi che ti ascoltavano cosa volesse dire avere veramente fame, un po’, forse, per espiare con te stesso un senso di colpa che da allora ti sei portato appresso.

Il tuo sorriso diventava estremamente serio solo quanto ripercorreva gli anni della dittatura. Quando raccontavi delle tue battaglie, delle fughe, delle donne che ti hanno salvato, dei tuoi giovanili dubbi di fede. Avevi infatti solo sette anni quando, partecipando con la tua scuola elementare all’inaugurazione di Piazza Vittoria, guardando i preti benedire carrarmati e soldati, immaginavi ministri di culto stranieri fare lo stesso con altri simboli, con altri soldati, con altri strumenti di morte e ti domandavi se Dio avesse potuto davvero volere una guerra e la violenza sul mondo.

E a quella violenza che veniva benedetta in piazza tu eri stato educato fin da bambino durante il regime fascista. Hai sentito lo schiaffo ed il rimprovero della maestra solo per aver cantato una canzone che conteneva la parola “libertà”. E a quella violenza tu hai risposto con la ribellione, con la lotta partigiana in prima linea.
Ho sempre ammirato e trovato segno di una profonda onestà come tu difendessi quella scelta, nella tua situazione l’unica possibile, e come non la nascondessi sorvolando sui momenti di lotta e di sangue. Ne parlavi, invece, con pudore, ma nel tentativo di far capire ai tuoi interlocutori cosa fosse stato veramente il regime fascista, e sapevi che ciò non poteva che essere fatto tramite la descrizione veritiera di quello che era stato necessario fare per liberarsene. Perché solo capire l’orrore di quelle vicende, del fucile tra le mani, poteva evitare di doverle ripetere.

È per non far rivivere ai tuoi nipoti quei drammi che hai combattuto tutta la vita, tramite un impegno indefesso nell'ANPI, nel quale sei stato consigliere nazionale e presidente onorario provinciale, come nella vita sociale e politica del tuo quartiere, della tua città.
Un impegno che non si è fermato nemmeno negli ultimi anni, nei quali, per uno come te, dev'essere stato difficile orientarsi, tra twitter e facebook, post e follower. Volevi però sempre, e di questo non ti si ringrazierà mai abbastanza, dare il tuo contributo, essere semplicemente presente senza mai aver bisogno di apparire. Mi dicevi che era questo il motivo che ti aveva portato a prendere negli ultimi anni la tessera del principale partito del centro sinistra: volevi dare il tuo sostegno al bisogno di una ricerca di quell’unità che aveva consentito la vittoria nella guerra di Liberazione e che poi la sinistra è riuscita solo in pochi momenti a raggiungere, portando a molte delle sue sconfitte.

Ricordo infine ancora il tuo sorriso, che dimostrava della felicità della tua presenza, il tuo sguardo attivo, il saluto che faceva capire come tu avessi sempre molte cose da dire, da raccontare, come facevi con Lino, sempre a discutere, come se ogni incontro fosse solo una parte di un dialogo iniziato chissà dove e forse mai davvero finito, e che procedeva, ora accorato ora tranquillo, al tavolo del saloncino 28 maggio, prima dei consigli provinciali, come nei vostri incontri settimanali o prima di una qualsiasi manifestazione.
Si capiva che avevi piacere a comunicare e parlare con tutti, a raccontare ai giovani, ai ragazzi e alle ragazze delle scuole, le tue esperienze, la tua storia, in prossimità della festa della Liberazione

Avevi, Cecco, uno sguardo stupito sul mondo, e so che questo sarà una cosa che mi mancherà tantissimo. Ti guardavi in giro come se fossi sempre in cerca di qualcosa di nuovo da scoprire, da imparare o semplicemente di bello da guardare.
Ricordo il tuo stupore quando, in Nuova Resistenza, è entrata una ragazza dai tratti orientali. Eri stupito da ciò, di come il mondo fosse sempre più piccolo, ed anche lì facevi sempre domande, dal generico "Capisci bene l'italiano" a quelle più specifiche su Mao e la rivoluzione culturale

E’ stato scritto che “brevissima e ansiosissima è la vita di quelli che dimenticano il passato, non curano il presente, temono il futuro: giunti all’ultima ora, tardi comprendono, disgraziati, di essere stati tanto tempo occupati a far nulla” (Seneca; De brevitate vitae) La tua vita, Cecco, è stata invece piena, lunga. Tu non hai dimenticato il passato, ma hai avuto il coraggio di confrontarti con esso: sei sempre stato, infatti, in dialogo con la storia, quella “storia come luogo d’incontro fra gli uomini”, e forse è stato questo a permetterti di non diventare mai l’ombra di te stesso, ma di essere combattivo fino all’ultimo e di non dimenticarti del presente, ma di avere il coraggio di non sottrarti mai a questo.
Tu non hai avuto infine paura del futuro, nel quale, nonostante tutto, nonostante forse non riuscissi a leggerlo completamente, confidavi, guardando ai tuoi nipoti, ai giovani a cui dialogavi nelle scuole, condividendo pensieri e sogni.

La tua vita, Cecco, è stata lunga, coraggiosa, piena, ricca, significativa per tutti quei ragazzi e bambini per i quali sei stato un'immagine bella della storia, e importante per noi tutti che ti abbiamo conosciuto

Addio partigiano.
Grazie di tutto,



Roncadelle; 25 aprile 2014