[...] To realize the relative validity of one’s convictions and yet stand for them unflinchingly is what distinguishes a civilized man from a barbarian.

–Joseph Schumpeter, Capitalism, Socialism and Democracy

venerdì 22 febbraio 2013

Avanzamento programma di Listabbestia


Siamo ormai a metà dell'anno scolastico, e sono passati quattro mesi dalla mia rielezione a Rappresentante d'Istituto del Liceo Calini. Cos'è stato fatto rispetto al programma elettorale di ottobre? (http://marcastels.blogspot.com/2012/11/volantino-listabbestia.html)

1 - Riduzione dei giorni di riconsegna delle verifiche
Portata questa istanza in Consiglio d'Istituto, che ha accettato la mia mozione ed approvato la riduzione dei giorni di riconsegna delle verifiche da 20 a 15.



2 - Direttivo aperto
Come Presidente del Direttivo studentesco ho tentato di dare sempre la massima visibilità agli incontri del Direttivo, ed a tal riguardo ho anche chiesto ed ottenuto l'utilizzo di una bacheca all'ingresso della scuola per rendere più agevole la comunicazione.

Sono anche riuscito ad ottenere che qualsiasi studente possa rappresentare il Direttivo studentesco anche senza esserne parte eletta, in modo da rendere più assidua e volontaria la presenza nelle singole commissioni scolastiche




3 - Sostegno ai gruppi studenteschi interni alla scuola
Credo che il sostegno ai vari gruppi scolastici sia stato, anche quest'anno, più che sufficiente per permettere che tutte le loro istanze abbiano potuto avere una rappresentanza istituzionale ed una via diretta di risoluzione.


marco castelli

giovedì 21 febbraio 2013

"Lamento ad un'ipotetica platea interessata alle tristi sorti della scuola pubblica" - seconda parte


Tutte queste cose credo ci possano dimostrare come si stia aprendo una sempre più netta spaccatura fra il mondo reale. Il mondo reale in tutti i sensi, sia il mondo del lavoro sia il mondo dei bisogni e delle ricerche dei giovani. Ma ci si può permettere questa situazione? Una società si può permettere che la scuola venga rigettata, messa in un angolo da tutti i suoi abitanti? E purtroppo con la scuola vengono dimenticate anche tutti gli insegnamenti, tutti i concetti alla base della nostra civiltà dei quali la scuola è la legittima e forse unica portatrice.
Si può evitare questo? Di sicuro, non con la strada che il Ministero dell’Istruzione sembra seguire.
Perché oggi, per come in questi ultimi anni è stata disegnata, la scuola deve diventare una scuola-azienda, un luogo spersonalizzante, dove la nostra vita, perché sì, secondo me quella a scuola è, e deve essere ancora vita nel senso più puro del termine, è guidata da medie, registri di presenze, monte-ore, badge elettronici, etc. Perché tutto questo? Per la meritocrazia?
Vi sembra che si possa parlare di meritocrazia quando un sondaggio, eseguito poco tempo fa in un liceo bresciano, ha dimostrato che l’80% degli studenti va a ripetizioni private? Vi sembra che si possa parare di meritocrazia in queste situazioni? Meritocrazia di chi ha i soldi per pagare anche 40 euro all’ora di lezioni private, non per gli altri!
 E questo perché bisogna terminare i programmi, e non c’è tempo per fermarsi di più su un argomento. Non si può fare una lezione di esercizi in più perché il tempo è poco, le ore sono poche ed i programmi sono sterminati. Quindi vince chi si paga le lezioni private. Ma gli altri?

Bisognerebbe riscoprire la maieutica. Il fatto che i ragazzi non siano dei vasi da riempire di nozioni, ma dei giovani uomini con cui dialogare, con cui continuare la narrazione della nostra storia. Bisogna ripartire dalle competenze, non dalle conoscenze asistematiche che sembrano essere l’unico obiettivo dell’istruzione italiana. E non è una differenza scontata. Perché le competenze vanno imparate, maturate, sviluppate, sono le conoscenze che possono venire inculcate, per utilizzare un lessico culturalmente volgare che purtroppo ci siamo abituati a conoscere.

Ma la nostra, ad oggi, è una scuola che taglia, oltre ai bilanci, i sogni, e che svilisce le passioni di coloro che la abitano, dagli studenti ai professori. Gli studenti italiani oggi hanno bisogno di un’istituzione che urli che “sì, in un paese civile di cultura si vive”. E i professori italiani hanno bisogno di sentirsi valorizzati come meritano, non minacciati di provvedimenti se parlano di attualità in classe e sviliti dalle esternazioni della Gelmini di turno. Le scuole hanno bisogno di una cura e di un’attenzione che sia propositiva e che mal si coniuga con l’invenzione dei presidi reggenti, che diventano i meri amministratori di ambienti che non conoscono e non possono riuscire a conoscere nel poco tempo che hanno a disposizione! La scuola italiana ha bisogno di un Ministero della Pubblica istruzione. Non di un ministero dell’istruzione, come questo dicastero è stato ribattezzato nelle ultime legislature.
Non si può permettere che l’istituzione considerata il “laboratorio del vivere democratico” sia estraniata dalla vita di tutti i giorni e venga vissuta in uno spazio estraneo, di disinteresse comune.
Perché gli studenti vogliono imparare a sognare come sognarono i matematici, i filosofi ed i letterati che immaginarono questo mondo. E perché vogliono imparare a vivere insieme, in una comunità inclusiva e non sempre alla ricerca del diverso, declinato come lo straniero o l’asino, sempre da allontanare, bocciare, mettere nelle classi ponte dai monarchi assoluti delle aule, che spesso si coprono di queste vesti perché anche loro insoddisfatti e lasciati soli dalla società.

“Trasformare i sudditi in cittadini è miracolo che solo la scuola può compiere” sosteneva Calamandrei, padre costituente. E una scuola autoritaria prepara una società autoritaria, una scuola democratica una società democratica, una società costituzionale.
E se vogliamo continuare a vedere il declino culturale e morale del nostro paese basta continuare su questa strada. Continuiamo a dimenticarci della scuola, o a disegnarla secondo i dettami del più becero capitalismo umano!
Se invece crediamo ancora in un’Italia democratica allora investiamo nella scuola, nella formazione e nell’istruzione. Ma non come si può investire in un’azienda, dove la scelta è basata solo su proporzioni, numeri e valori di borsa come vorrebbero essere nella scuola le prove INVALSI. Ma investiamo con vera fiducia, facendo capire agli studenti che sono la risorsa di una nazione, che la loro creatività è un valore per il futuro dello Stato, non un peso ai bilanci perché bisogna organizzare le attività ex-DPR 133 e la giornata dell’Arte e della Creatività studentesca.
Possiamo esserne sicuri. I risultati arriveranno!

marco castelli



mercoledì 20 febbraio 2013

"Lamento ad un'ipotetica platea interessata alle tristi sorti della scuola pubblica" - prima parte


  […] è l’aspetto più sconcertante della vostra scuola: vive fine a se stessa. […] Giorno per giorno studiano per il registro, per la pagella, per il diploma. E intanto si distraggono dalle cose belle che studiano. Lingue, storia, scienze, tutto diventa voto e null’altro […] Le materie più belle e diverse tutte finalizzate lì. Come se non appartenessero a un mondo più vasto che non quel metro quadro tra la lavagna e la cattedra”
(Lettera ad una professoressa; Scuola di Barbiana)


Il mio primo obiettivo nel breve intervento qui oggi è quello di provare a sfatare un mito purtroppo molto diffuso, e cioè quello che gli studenti odino imparare, odino studiare. Non è vero. Gli studenti non odiano studiare, non odiano parlare di filosofi, scienziati e letterati, ma spesso non sopportano la scuola. O almeno quella che oggi, è la scuola.
Dovrete anche accettare che è difficile appassionarsi, è difficile “amare il sapere”, come suggerirebbe la parola “filosofia”, in delle aule che cadono a pezzi, seduti su delle sedie scomode, dopo essersi svegliati alle sei e trenta e durante una lezione frontale nella quale spesso è difficile esprimere le proprie posizioni in libertà.
Che tuttavia agli studenti piaccia stare a scuola è evidente, ma in una scuola che li ascolti e li valorizzi. Una scuola che metta lo studente, non il voto o il programma, al primo posto. Si guardi quanti ragazzi frequentano i corsi pomeridiani auto-organizzati, e quanti le attività extra-curricolari offerte dalla scuola. Agli studenti piace vivere la scuola, e piace approfondire le materie curricolari che, se spiegate loro con la continua minaccia del voto, se discusse negli spazi ritagliati dalle interrogazioni, se spiegate in fretta perché “c’è un programma da terminare”, perdono gran parte del loro senso.
Venite alle attività scolastiche aperte alla cittadinanza, vedrete lì l’impegno e la voglia dei tanto criticati giovani d’oggi!
Ma perché non si può continuare su questa strada per quanto feconda? La risposta è semplice, è la parola più odiata dagli italiani e dai popoli europei in questo periodo: tagli.
Tagli su tagli, che nell’ambito scolastico si declinano dai tagli ai fondi per il diritto allo studio ai tagli al personale.
Ed ancora più difficile è credere nella politica, nella buona amministrazione, quando si scopre che se la tua scuola non ha i soldi per riparare i gabinetti rotti è perché lo Stato, il MIUR, le devono da dieci anni delle enormi cifre e che queste istituzioni temporeggiano solo per aspettare che su queste somme cada la prescrizione. Un milione e mezzo sono i soldi che solo le scuole superiori bresciane hanno anticipato senza più rivederli allo Stato. Quanti corsi di recupero, quanti incontri pomeridiani, quante attività extracurriculari o stage si potrebbero organizzare con questa somma?
Per gli studenti è difficile fidarsi della politica, ed i risultati si vedono nel proliferare di movimenti di “antipolitica” e dal preoccupante dato dell’astensionismo, perché il non restituire quei soldi alla scuola è una volontà politica prima che una necessità economica, altrimenti, pian piano quei soldi sarebbero ricominciati a tornare nelle casse scolastiche, e non sarebbero andati a finanziare le scuole private e paritarie o il “training day”, quella comica parata militare a cui sono invitati a partecipare gli studenti bresciani. E così le parole della Costituzione, degli articoli 11, “l’Italia ripudia la guerra”…,  e 33, “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo stato…,  sono sempre più lontane…
Tuttavia oggi sembra che si sia trovato il rimedio a tutti i problemi dell’Istituzione scolastica: il miglioramento tecnologico dell’Offerta Formativa. Si comincia persino a proporre, nei Consigli d’Istituto, di diminuire le attività di approfondimento con relatori esterni ed utilizzare i fondi così risparmiati nell’acquisto di dotazione tecnologica.  Ma questo illusorio paravento ideato per nascondere la situazione reale della vita a scuola non può e non deve diventare il lume votivo a cui dedicare interi bilanci scolastici per seguire le deleterie leggi che non tengono nemmeno conto della situazione dell’edilizia scolastica. Forse si pensa che le scuole diventino statisticamente più sicure se ci sono più LIM! Non lo so, io pensavo bastasse controllare i muri portanti ma probabilmente mi sbagliavo! Riempiamo le scuole di LIM e proiettori!
Per non parlare poi del registro elettronico, che da strumento per tenere informati i genitori dei progressi scolastici dei propri figli rischia di diventare, se non utilizzato con criterio ma semplicemente fornito con obbligo di utilizzo a tutti i docenti, come effettivamente accade, il metodo per estraniare completamente la componente studentesca dal processo di apprendimento. Il voto viene inviato a casa, chi segue la correzione se ha già salvato il risultato nella memoria del computer? E chi me lo fa fare, a me, ragazzo, di confrontarmi con la professoressa alla fine di un’interrogazione per compiere anche un’operazione di autovalutazione personale e di critica costruttiva sia ai nostri metodi di studio sia ai metodi d’insegnamento se tanto mi arriva il voto a casa. Che voglia ho di capire un procedimento se tanto l’unico aspetto edulcorato dall’Istituzione è il risultato?
E forse la cosa più eufemistica è che mentre pensiamo di doverci mettere in pari con chissà quale avanzamento della tecnologia nella scuola è di circa un anno fa la pubblicazione di uno studio del New York Times che evidenzia come nelle scuole dalle rette stratosferiche dove studiano tutti i figli dei più grandi manager di Cupertino, è completamente vietato l’utilizzo di qualsiasi device tecnologico. Perché le persone che lavorano con come unico fine l’innovazione tecnologica sanno che questa è uno strumento e nulla più. Non un modus operandi né la panacea dei problemi della scuola come si vuole farci credere.

[segue]

marco castelli



venerdì 15 febbraio 2013

Una politica da cambiare - lettera di alcuni studenti

È non solo inutile, ma anche irresponsabile, nascondersi dietro al falso mito della «cattiva politica»: la politica non è né buona, né cattiva in sé, ma è semplicemente lo specchio della società che la costruisce.
La nostra società ha lasciato che la politica diventasse vecchia, corrotta, individualista e autoreferenziale; ora tocca a noi cambiarla. E per cambiarla serve impegno, perché fare politica non significa solo votare, ma anche informarsi, informare, discutere, proporre, provare a costruire con gli altri e per gli altri. La politica è un'opera in costruzione, un cantiere aperto, un contenitore che noi dobbiamo riempire con le nostre idee. In particolare noi giovani abbiamo il dovere di attivarci, perché criticare ciò che ci viene proposto non basta: bisogna impegnarsi per costruire insieme qualcosa di migliore.
A chi dice che un singolo voto non conta nulla, rispondiamo che tutti i voti, come è giusto che sia, contano uguale.
A chi dice che la politica è un mondo isolato, rispondiamo che è nostro dovere avvicinarci ad essa.
A chi dice che la politica non cambierà mai, rispondiamo che, se la si vuole cambiare, bisogna agire politicamente in prima persona.
È arrivato il momento di lasciare da parte l'indifferenza, di rifiutare il criticismo a priori. Iniziamo a costruire la politica: non è solo un nostro diritto, è un nostro dovere.
«Sii il cambiamento che vorresti vedere nel mondo».

Anna Paola Zani, Carlo Genalizzi, Edoardo Cipani, Ester Zangrandi, Guido Lanfranchi, Luca Sbaraini, Marco Castelli, Matteo Licini, Samuele Fasanotto, Valeria Zito UN GRUPPO DI STUDENTI DEL LICEO CALINI BRESCIA


Link alla lettera sul sito del Bresciaoggi: http://www.bresciaoggi.it/stories/164_lettere/470070_una_politica_da_cambiare/

Locandina evento "Benvenuta Istruzione"


domenica 10 febbraio 2013

Coma - poesia seconda classificata al Premio Eugenio Montale



Non è liquida questa tua lacrima,
che non ha nemmeno la forza
di disegnare le sue deboli geometrie
su quella faccia dalle rughe cancellate
per le posizioni innaturali
di un corpo già scolorito,
sotto colpi di graffi inconsulti e viscidi
tubi impertinenti.

Sei già morta,
è quasi evidente, se non per
quel lieve movimento di spalle,
che le macchine ti stimolano
come tua condanna
e tua anima.
Mi piacerebbe pensare,
che quel girarti,
nel letto che sembra troppo piccolo,
sia una spasmodica ricerca
di ricordi.
E che quella lacrima
sia il pianto d’addio d’un antico sospiro
che agogna incerto l’assoluto
capendo che forse lo sta
abbandonando,
insieme al vento
che carpisce inesorabile
i petali delle stagioni.
Ma non è così.
E quella caduca goccia è solo un mezzo
per riflettere le nostre piccole
nascoste trattenute miserie
d’attaccamento alla vita che si rintana,
lasciatole aperta la fuga.

Ma qual è quella linea che,
oltrepassata, definisce
la tua morte?
Giaci qui,
davanti a me,
viva con scadenza,
per i dottori,
che si affaccendano
per farti dimenticare
insieme ai tuoi dolori,
anche di te,
e morta per gli altri
ma,
forse
soprattutto,
morta
per te.

E se non sei ora,
cos’eri ieri quando già
l’ombra incombeva a tua insaputa?
Quando già era inarrestabile
ma almeno ignoto
quel male che ti
vuole naturalmente
soffocare?
E come ieri l’altro,
quando l’ombra si allungava
a tuo malgrado!
A nostro malgrado!
Forse proprio per ogni
passo che tu compivi.
Per la nostra colpa:
Per il tuo amore.
Ma da quale lacrima la vita
comincia a definirsi
ed a decadere
verso l’ovvia conclusione?
Viviamo morti o moriamo vivi?


E non è niente che abbia senso questo pianto,
ed è forse meglio dimenticare,
il respiro, il battito, il polso, l’attività celebrale,
e rimanere alla memoria,
quell’unico posto
dove quando muori,
naufragando nella tua stessa
incomunicabilità,
non muori solo,
ma anche
con una
parte
di
me.