[...] To realize the relative validity of one’s convictions and yet stand for them unflinchingly is what distinguishes a civilized man from a barbarian.

–Joseph Schumpeter, Capitalism, Socialism and Democracy

mercoledì 20 febbraio 2013

"Lamento ad un'ipotetica platea interessata alle tristi sorti della scuola pubblica" - prima parte


  […] è l’aspetto più sconcertante della vostra scuola: vive fine a se stessa. […] Giorno per giorno studiano per il registro, per la pagella, per il diploma. E intanto si distraggono dalle cose belle che studiano. Lingue, storia, scienze, tutto diventa voto e null’altro […] Le materie più belle e diverse tutte finalizzate lì. Come se non appartenessero a un mondo più vasto che non quel metro quadro tra la lavagna e la cattedra”
(Lettera ad una professoressa; Scuola di Barbiana)


Il mio primo obiettivo nel breve intervento qui oggi è quello di provare a sfatare un mito purtroppo molto diffuso, e cioè quello che gli studenti odino imparare, odino studiare. Non è vero. Gli studenti non odiano studiare, non odiano parlare di filosofi, scienziati e letterati, ma spesso non sopportano la scuola. O almeno quella che oggi, è la scuola.
Dovrete anche accettare che è difficile appassionarsi, è difficile “amare il sapere”, come suggerirebbe la parola “filosofia”, in delle aule che cadono a pezzi, seduti su delle sedie scomode, dopo essersi svegliati alle sei e trenta e durante una lezione frontale nella quale spesso è difficile esprimere le proprie posizioni in libertà.
Che tuttavia agli studenti piaccia stare a scuola è evidente, ma in una scuola che li ascolti e li valorizzi. Una scuola che metta lo studente, non il voto o il programma, al primo posto. Si guardi quanti ragazzi frequentano i corsi pomeridiani auto-organizzati, e quanti le attività extra-curricolari offerte dalla scuola. Agli studenti piace vivere la scuola, e piace approfondire le materie curricolari che, se spiegate loro con la continua minaccia del voto, se discusse negli spazi ritagliati dalle interrogazioni, se spiegate in fretta perché “c’è un programma da terminare”, perdono gran parte del loro senso.
Venite alle attività scolastiche aperte alla cittadinanza, vedrete lì l’impegno e la voglia dei tanto criticati giovani d’oggi!
Ma perché non si può continuare su questa strada per quanto feconda? La risposta è semplice, è la parola più odiata dagli italiani e dai popoli europei in questo periodo: tagli.
Tagli su tagli, che nell’ambito scolastico si declinano dai tagli ai fondi per il diritto allo studio ai tagli al personale.
Ed ancora più difficile è credere nella politica, nella buona amministrazione, quando si scopre che se la tua scuola non ha i soldi per riparare i gabinetti rotti è perché lo Stato, il MIUR, le devono da dieci anni delle enormi cifre e che queste istituzioni temporeggiano solo per aspettare che su queste somme cada la prescrizione. Un milione e mezzo sono i soldi che solo le scuole superiori bresciane hanno anticipato senza più rivederli allo Stato. Quanti corsi di recupero, quanti incontri pomeridiani, quante attività extracurriculari o stage si potrebbero organizzare con questa somma?
Per gli studenti è difficile fidarsi della politica, ed i risultati si vedono nel proliferare di movimenti di “antipolitica” e dal preoccupante dato dell’astensionismo, perché il non restituire quei soldi alla scuola è una volontà politica prima che una necessità economica, altrimenti, pian piano quei soldi sarebbero ricominciati a tornare nelle casse scolastiche, e non sarebbero andati a finanziare le scuole private e paritarie o il “training day”, quella comica parata militare a cui sono invitati a partecipare gli studenti bresciani. E così le parole della Costituzione, degli articoli 11, “l’Italia ripudia la guerra”…,  e 33, “enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione senza oneri per lo stato…,  sono sempre più lontane…
Tuttavia oggi sembra che si sia trovato il rimedio a tutti i problemi dell’Istituzione scolastica: il miglioramento tecnologico dell’Offerta Formativa. Si comincia persino a proporre, nei Consigli d’Istituto, di diminuire le attività di approfondimento con relatori esterni ed utilizzare i fondi così risparmiati nell’acquisto di dotazione tecnologica.  Ma questo illusorio paravento ideato per nascondere la situazione reale della vita a scuola non può e non deve diventare il lume votivo a cui dedicare interi bilanci scolastici per seguire le deleterie leggi che non tengono nemmeno conto della situazione dell’edilizia scolastica. Forse si pensa che le scuole diventino statisticamente più sicure se ci sono più LIM! Non lo so, io pensavo bastasse controllare i muri portanti ma probabilmente mi sbagliavo! Riempiamo le scuole di LIM e proiettori!
Per non parlare poi del registro elettronico, che da strumento per tenere informati i genitori dei progressi scolastici dei propri figli rischia di diventare, se non utilizzato con criterio ma semplicemente fornito con obbligo di utilizzo a tutti i docenti, come effettivamente accade, il metodo per estraniare completamente la componente studentesca dal processo di apprendimento. Il voto viene inviato a casa, chi segue la correzione se ha già salvato il risultato nella memoria del computer? E chi me lo fa fare, a me, ragazzo, di confrontarmi con la professoressa alla fine di un’interrogazione per compiere anche un’operazione di autovalutazione personale e di critica costruttiva sia ai nostri metodi di studio sia ai metodi d’insegnamento se tanto mi arriva il voto a casa. Che voglia ho di capire un procedimento se tanto l’unico aspetto edulcorato dall’Istituzione è il risultato?
E forse la cosa più eufemistica è che mentre pensiamo di doverci mettere in pari con chissà quale avanzamento della tecnologia nella scuola è di circa un anno fa la pubblicazione di uno studio del New York Times che evidenzia come nelle scuole dalle rette stratosferiche dove studiano tutti i figli dei più grandi manager di Cupertino, è completamente vietato l’utilizzo di qualsiasi device tecnologico. Perché le persone che lavorano con come unico fine l’innovazione tecnologica sanno che questa è uno strumento e nulla più. Non un modus operandi né la panacea dei problemi della scuola come si vuole farci credere.

[segue]

marco castelli