[...] To realize the relative validity of one’s convictions and yet stand for them unflinchingly is what distinguishes a civilized man from a barbarian.

–Joseph Schumpeter, Capitalism, Socialism and Democracy

giovedì 20 dicembre 2012

Occupazione. Autogestione. E poi?

Finito anche per l’anno 2012 l’autunno caldo penso sia ormai necessario fare qualche riflessione su come si sia svolto e su che conseguenze abbia portato soprattutto nella nostra realtà scolastica. Il fatto che è, ovviamente, emblema di tutte queste nostre agitazioni a livello d’Istituto, è stata l’occupazione-autogestione che ha avuto luogo dal pomeriggio del giorno 4 alla sera del giorno 7 dicembre.
Lasciando da parte la discussione, ormai inaridita su posizioni contrapposte ed inconciliabili, sull’utilità o meno dell’occupazione (il mio parere è contrario, ma penso che servirebbe un altro articolo per spiegare le motivazioni), non si può negare che in questo caso abbiamo dato il via ad una bella autogestione. Non si sono verificati troppi problemi di ordine interno (eccetto il caso del furto delle casse audio ad opera di alcuni esterni, subito controllato anche se con il triste, ma necessario, intervento delle forze di Polizia), ed è stato organizzato un interessante programma di incontri, che ha portato nella nostra Aula Magna quasi tutti i candidati sindaci alle prossime amministrative ed anche un sindacalista di fama nazionale come Giorgio Cremaschi.
Tuttavia è secondo me necessario dividere due aspetti fondamentali: quello emozionale ed attivista e quello puramente razionale e probabilmente anche più difficile da analizzare durante il susseguirsi delle vicende.
Dal primo punto di vista, come già detto, la nostra autogestione (di tutti gli studenti e di tutti i caliniani, sia di quelli che sono stati in classe, sia di quelli che hanno dormito a scuola la notte) è stata un successo quasi totale: i corsi sono stati molto ben organizzati, la partecipazione agli stessi ed alle varie assemblee è stata più che discreta e nelle strutture della scuola, a differenza degli anni scorsi, non sono stati riscontrati danni. Un vero successo quindi, che grazie al lavoro di molti ragazzi, sul cui attivismo ha forse influito anche un quinquennio di azione studentesca all’interno dell’istituto ridimensionata da una forte presidenza, ha portato a compimento il nostro obiettivo di informare parte del Calini su alcune procedure legislative che nei prossimi anni rischiano di modificare per sempre il volto della nostra Scuola ed il nostro rapporto con essa.
Ma qui entra in gioco l’aspetto forse più nascosto di questa agitazione ma, secondo me, necessario ad una riflessione approfondita: fare due giorni di occupazione era quello che si voleva o è stato un compromesso preso alla cieca e forse non rispettante quello che davvero si cercava?
Lasciando da parte tutte le discussioni sulla politica del contenimento del danno messa in atto dalla presidenza (che poi si è macchiata della colpa di far uscire le circolari in ritardo: svista o mancata presa di responsabilità di fronte ad una situazione comunque rischiosa?1), sulle quali si dovrà confrontare il corpo docenti, credo che sia sull’accettazione dell’autogestione che la nostra analisi è venuta meno, forse presa in errore di fronte a prospettive usualmente negate come l’autogestione e, in seguito, dinnanzi alla buona riuscita della stessa: cosa abbiamo ottenuto davvero?
Cosa resterà negli statuti, nel POF, nel regolamento d’Istituto dopo questa nostra protesta?
Abbiamo informato? Sì, certo, ma solo quelli che erano già per loro indole interessati a farlo, dato che coloro che volevano sono comunque rimasti in classe, forse ancora più seccati e testardi nelle loro opinioni. Abbiamo mostrato la forza degli studenti? Sì, a costo di accuse fra compagni di classe di essere crumiri, a costo del compromesso “entro quest’ora con la profe che mi segna assente ed esco quella dopo” e dei metodi per saltare le verifiche. Abbiamo ottenuto l’attenzione dei professori? Sì, quelli che hanno condiviso la nostra lotta hanno anche pubblicato una lettera sul Bresciaoggi2, ma sono meno di un decimo del numero totale dei docenti e sicuramente ci avrebbero sostenuto anche con altre forme di protesta. Abbiamo costruito qualcosa che resterà? Questo purtroppo no: abbiamo “fatto”, ma non abbiamo “costruito” niente…
Se la legge Aprea-Ghizzoni dovesse passare non saremmo riusciti a costruire nessuna linea di confine, nessuna barricata sulla quale potremmo fermarci e dire: “Questo al Calini no!”; “La rappresentanza degli studenti al Calini rimarrà intatta” o “Nonostante i tagli non ci toglierete le attività ex-DPR 133!”. E pensare che ci avremmo potuto provare! Avevamo i numeri e la forza per provare a fare qualche richiesta alla dirigenza che non fosse la semplice pretesa di due giorni di autogestione ma fosse una certezza per il futuro: difficile da mettere sulla carta forse, in modi e metodi da studiare, ma di sicuro ancora più difficile da togliere e molto più coerente con la nostra protesta.
Perché non si è tentato nonostante gli inviti in questo senso? Magari perché per molti (non per tutti ovviamente) è più facile impegnarsi sapendo che per due giorni non si hanno interrogazioni e verifiche invece di lavorare con il rischio di ritornare in classe se le richieste sarebbero state accettate?
Infine non posso non sottolineare come la nostra autogestione si sia svolta sulla falsariga dei Dies Fasti (come all’Arnaldo si è svolta sui modelli del loro Schola Ludens) e di come ciò credo possa condurci a fare una riflessione su come questi aspetti della nostra vita scolastica, un tempo quasi rivoluzionari ed oggi regolati e programmati dal POF, ci condizionino e si configurano ai nostri occhi come stereotipi di vere riappropriazioni della scuola.
Ma allora perché, nonostante ciò, quando si deve davvero decidere il titolo ed il programma dei Dies Fasti tutte le centinaia di ragazzi che votano “occupazione” ed “autogestione” si riducono, materialmente, alle solite quattro persone? Ci saranno di sicuro problemi di comunicazione, e tutto quello che si vuole, ma che senso può avere rincorrere “magnifiche sorti e progressive” senza che venga effettuato una vera e forte riappropriazione delle forme già esistenti e che ci dimentichiamo di frequentare considerandole erroneamente “vecchie” e “noiose”?
Non è forse il caso di tentare un’occupazione metaforica  e democratica dei contenitori che la scuola ci offre e che sono stati anche ottenuti dagli studenti nel corso degli anni per esprimere i nostri pareri ed i nostri disagi piuttosto che un’occupazione fisica ed autoritaria della scuola stessa? Non ci si renderebbe più credibili in questo modo? Non si potrebbe costruire qualcosa di condiviso e duraturo?
E questa non vuole essere una provocazione rivolta a coloro che negli anni prossimi si troveranno ancora in situazioni critiche di protesta, ma un invito rivolto a tutti noi, che ogni giorno viviamo la Scuola e la costruiamo, nel bene e nel male, con i nostri comportamenti ed il nostro interesse.
La Democrazia e le Istituzioni si plasmano ogni giorno, non solo le prime settimane di dicembre.


marco castelli


1: Nel caso qualcuno si fosse fatto male, senza una ben precisa circolare della dirigenza, la colpa sarebbe stata del docente che aveva permesso allo studente di non stare in classe. Con una circolare che permetteva e spiegava le forme dell’autogestione, la colpa sarebbe stata invece del preside.