Lasciando da parte la discussione, ormai inaridita su posizioni
contrapposte ed inconciliabili, sull’utilità o meno dell’occupazione (il mio
parere è contrario, ma penso che servirebbe un altro articolo per spiegare le
motivazioni), non si può negare che in questo caso abbiamo dato il via ad una
bella autogestione. Non si sono verificati troppi problemi di ordine interno
(eccetto il caso del furto delle casse audio ad opera di alcuni esterni, subito
controllato anche se con il triste, ma necessario, intervento delle forze di
Polizia), ed è stato organizzato un interessante programma di incontri, che ha
portato nella nostra Aula Magna quasi tutti i candidati sindaci alle prossime
amministrative ed anche un sindacalista di fama nazionale come Giorgio
Cremaschi.
Tuttavia è secondo me necessario dividere due aspetti
fondamentali: quello emozionale ed attivista e quello puramente razionale e
probabilmente anche più difficile da analizzare durante il susseguirsi delle
vicende.
Dal primo punto di vista, come già detto, la nostra autogestione
(di tutti gli studenti e di tutti i caliniani, sia di quelli che sono stati in
classe, sia di quelli che hanno dormito a scuola la notte) è stata un successo
quasi totale: i corsi sono stati molto ben organizzati, la partecipazione agli
stessi ed alle varie assemblee è stata più che discreta e nelle strutture della
scuola, a differenza degli anni scorsi, non sono stati riscontrati danni. Un
vero successo quindi, che grazie al lavoro di molti ragazzi, sul cui attivismo
ha forse influito anche un quinquennio di azione studentesca all’interno
dell’istituto ridimensionata da una forte presidenza, ha portato a compimento
il nostro obiettivo di informare parte del Calini su alcune procedure
legislative che nei prossimi anni rischiano di modificare per sempre il volto
della nostra Scuola ed il nostro rapporto con essa.
Ma qui entra in gioco l’aspetto forse più nascosto di questa
agitazione ma, secondo me, necessario ad una riflessione approfondita: fare due
giorni di occupazione era quello che si voleva o è stato un compromesso preso
alla cieca e forse non rispettante quello che davvero si cercava?
Lasciando da parte tutte le discussioni sulla politica del
contenimento del danno messa in atto dalla presidenza (che poi si è macchiata
della colpa di far uscire le circolari in ritardo: svista o mancata presa di responsabilità
di fronte ad una situazione comunque rischiosa?1), sulle quali si dovrà
confrontare il corpo docenti, credo che sia sull’accettazione dell’autogestione
che la nostra analisi è venuta meno, forse presa in errore di fronte a
prospettive usualmente negate come l’autogestione e, in seguito, dinnanzi alla
buona riuscita della stessa: cosa abbiamo ottenuto davvero?
Cosa resterà negli statuti, nel POF, nel regolamento
d’Istituto dopo questa nostra protesta?
Abbiamo informato? Sì, certo, ma solo quelli che erano già
per loro indole interessati a farlo, dato che coloro che volevano sono comunque
rimasti in classe, forse ancora più seccati e testardi nelle loro opinioni. Abbiamo
mostrato la forza degli studenti? Sì, a costo di accuse fra compagni di classe di
essere crumiri, a costo del compromesso “entro quest’ora con la profe che mi
segna assente ed esco quella dopo” e dei metodi per saltare le verifiche. Abbiamo
ottenuto l’attenzione dei professori? Sì, quelli che hanno condiviso la nostra
lotta hanno anche pubblicato una lettera sul Bresciaoggi2, ma sono meno
di un decimo del numero totale dei docenti e sicuramente ci avrebbero sostenuto
anche con altre forme di protesta. Abbiamo costruito qualcosa che resterà?
Questo purtroppo no: abbiamo “fatto”, ma non abbiamo “costruito” niente…
Se la legge Aprea-Ghizzoni dovesse passare non saremmo
riusciti a costruire nessuna linea di confine, nessuna barricata sulla quale
potremmo fermarci e dire: “Questo al Calini no!”; “La rappresentanza degli studenti
al Calini rimarrà intatta” o “Nonostante i tagli non ci toglierete le attività
ex-DPR 133!”. E pensare che ci avremmo potuto provare! Avevamo i numeri e la
forza per provare a fare qualche richiesta alla dirigenza che non fosse la
semplice pretesa di due giorni di autogestione ma fosse una certezza per il
futuro: difficile da mettere sulla carta forse, in modi e metodi da studiare,
ma di sicuro ancora più difficile da togliere e molto più coerente con la
nostra protesta.
Perché non si è tentato nonostante gli inviti in questo
senso? Magari perché per molti (non per tutti ovviamente) è più facile impegnarsi
sapendo che per due giorni non si hanno interrogazioni e verifiche invece di
lavorare con il rischio di ritornare in classe se le richieste sarebbero state
accettate?
Infine non posso non sottolineare come la nostra
autogestione si sia svolta sulla falsariga dei Dies Fasti (come all’Arnaldo si
è svolta sui modelli del loro Schola Ludens) e di come ciò credo possa condurci
a fare una riflessione su come questi aspetti della nostra vita scolastica, un
tempo quasi rivoluzionari ed oggi regolati e programmati dal POF, ci
condizionino e si configurano ai nostri occhi come stereotipi di vere riappropriazioni
della scuola.
Ma allora perché, nonostante ciò, quando si deve davvero
decidere il titolo ed il programma dei Dies Fasti tutte le centinaia di ragazzi
che votano “occupazione” ed “autogestione” si riducono, materialmente, alle
solite quattro persone? Ci saranno di sicuro problemi di comunicazione, e tutto
quello che si vuole, ma che senso può avere rincorrere “magnifiche sorti e
progressive” senza che venga effettuato una vera e forte riappropriazione delle
forme già esistenti e che ci dimentichiamo di frequentare considerandole erroneamente
“vecchie” e “noiose”?
Non è forse il caso di tentare un’occupazione
metaforica e democratica dei contenitori
che la scuola ci offre e che sono stati anche ottenuti dagli studenti nel corso
degli anni per esprimere i nostri pareri ed i nostri disagi piuttosto che
un’occupazione fisica ed autoritaria della scuola stessa? Non ci si renderebbe
più credibili in questo modo? Non si potrebbe costruire qualcosa di condiviso e
duraturo?
E questa non vuole essere una provocazione rivolta a
coloro che negli anni prossimi si troveranno ancora in situazioni critiche di
protesta, ma un invito rivolto a tutti noi, che ogni giorno viviamo la Scuola e
la costruiamo, nel bene e nel male, con i nostri comportamenti ed il nostro
interesse.
La Democrazia e le Istituzioni si plasmano ogni giorno,
non solo le prime settimane di dicembre.
marco castelli
1: Nel caso qualcuno si fosse fatto male, senza una ben
precisa circolare della dirigenza, la colpa sarebbe stata del docente che aveva
permesso allo studente di non stare in classe. Con una circolare che permetteva
e spiegava le forme dell’autogestione, la colpa sarebbe stata invece del
preside.