[...] To realize the relative validity of one’s convictions and yet stand for them unflinchingly is what distinguishes a civilized man from a barbarian.

–Joseph Schumpeter, Capitalism, Socialism and Democracy

sabato 4 aprile 2015

L'Italia ripudia la guerra

“L’Italia ripudia la guerra, come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad uno ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo
(art. 11 Costituzione)

Tra gli articoli più conosciuti e citati della Costituzione italiana spicca sicuramente l’articolo 11, quello contenente i principi fondamentali relativi all’azione della Repubblica nel contesto internazionale: stampato su striscioni e magliette e divenuto slogan delle manifestazioni pacifiste ed ha vissuto una fortuna che ne ha fatto spesso superare il mero dato giuridico per aprirsi ad una concezione valoriale ed immediata: NO ALLA GUERRA!

Il termine più caratteristico del testo – e che ne ha garantito gran parte del “successo” - è sicuramente “ripudia”, che non era presente nell’articolo presentato dalla Commissione, ma venne inserito nel dibattito in Aula, ritenendo “che, mentre condanna, ha un valore etico più che politico-giuridico, e rinunzia[1] presuppone, in un certo modo, la rinuncia a un bene, a un diritto, il diritto della guerra (che vogliamo appunto contestare), la parola ripudia, se può apparire per alcuni richiami non pienamente felice, ha un significato intermedio, ha un accento energico e implica così la condanna come la rinunzia alla guerra”[2]
Tuttavia, anche se ritenuto “infelice” per i riferimenti storici all’allontanamento del coniuge, lo stesso termine evidenzia il rifiuto di quella cultura di potenza e di morte che l’Italia fascista aveva abbracciato con la seconda guerra mondiale: ripudio quindi, della cultura fascista, la quale, tramite l’esaltazione della guerra (“igiene del mondo!” secondo Marinetti) aveva provato a costruire una nazione di soldati. L’articolo 11 pertanto si pone radicalmente ne “la più netta antitesi del passato di aggressione e di conquista”[3] voluto da “una classe dirigente superata”[4]

Con l’opposizione al passato si chiarisce anche il fortissimo coordinamento  (“unità morale”, venne definita nella discussione)[5] -, rappresentato dallo sviluppo del testo in un unico comma con il riferimento alle “limitazioni di sovranità” necessarie agli ordinamenti internazionali (si pensava sicuramente all’ONU, ma anche, con forte speranza, all’Europa [6])
Venne infatti evidenziato “che quasi tutte le rovine che si sono verificate in questi ultimi tempi, sono dovute alla protervia con cui ogni Stato ha voluto sostenere in modo assoluto, senza limitazioni, la propria sovranità. Se si vuole veramente arrivare ad un lungo periodo di pace tra i popoli, bisogna invece che le Nazioni si assoggettino a norme internazionali che rappresentino veramente una sanzione.”[7]
Se l’unione dei due temi in un unico comma è stata decisa in commissione[8], il coordinamento era sotteso anche nelle intenzioni dell’estensore dell’articolo, Giuseppe Dossetti, (DC), il quale era sostenitore di una visione – derivatagli dal suo ecumenismo cattolico - secondo la quale le comunità di donne ed uomini del Pianeta preesistono agli Stati e dunque  formano una comunità unica: ogni guerra è pertanto una “guerra civile” e per evitarla è necessario recuperare un ordine giuridico internazionale.


Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari
(art. 78 Costituzione)

Tuttavia, com’è normale, la Costituzione non si ferma a parlare della “pace”, ma traccia anche i necessari impegni istituzionali nel caso di conflitto[9] e, soprattutto, i necessari e stringenti passaggi formali per dichiarare guerra (aspetto in fase di revisione con la riforma costituzionale in discussione alle Camere in questi mesi).
Nonostante ciò, com’è certo che negli ultimi anni molti militari, sotto le bandiere tricolori o quelle blu dell’ONU, siano morti in campi di battaglia lontani, è anche evidente che le Camere non abbiamo mai dichiarato, seguendo le norme Costituzionali, lo stato di guerra.
Tutte le volte si sono utilizzati altri atti parlamentari, molto meno impegnativi e solenni, con la giustificazione che le attività in discussione non erano “guerre” ma “missioni di pace” o “umanitarie”, operazioni di “peace-keeping” e “peace-enforcing”, utilizzando il vecchio motto latino “se vuoi la pace prepara la guerra” per operare una sorta di “frode delle etichette”.
Indipendentemente dalla legittimità di questo agire, molto discussa in dottrina anche se con prevalenti accenti critici[10], sarebbe importante provare a chiederci se, oltre questi diversi nomi, cambi qualcosa rispetto alle guerre tradizionali che possa giustificare queste azioni militari-ma-non-di-guerra nel nostro quadro costituzionale. Ovviamente la speranza sarebbe quella, almeno, di un cambiamento che porti queste operazioni ad essere meno letali, anche se le percentuali sui morti civili in questi nuovi conflitti sembrerebbero sostenere il contrario. Sarebbe infine necessario provare a rispondere alla radicale domanda, posta da Luigi Ferrajoli[11], se si possa parlare realmente di “guerra a tutela dei diritti” oppure se questa espressione non sia che un vuoto ossimoro ideato per servire antiche ma sempre nuove politiche di potenza.

Le risposte sono difficili e toccano le convinzioni personali di ciascuno ma, anche per questo, servirebbe una discussione profonda, che non si fermi alla convenienza di politica interna o all’interesse internazionale (od economico?) del momento, che tenti di arrivare ad una interpretazione completa di guerra e di pace (solo una “condizione di assenza di conflitti”, come dice il dizionario?), riscoprendo il vero dell’articolo 11 della Costituzione, spesso semplificato in slogan o usato come mero dato tecnico, sul quale giocare con le interpretazioni.




[1] Termine presente nella formulazione iniziale
[2] Ruini; Presidente della Commissione per la Costituzione; Assemblea Costituente, discussione generale 24 marzo 1947; pg. 2432
[3] Ruini; ibidem; pg. 2434
[4] On. Zagari; Assemblea Costituente, discussione generale 24 marzo 1947; pg. 2433
[5] Intervento dell’On. Zagari; pg 2430 Discussione generale (24 marzo 1947)
[6] Disse, con forza, l’onorevole Bastianetto, il quale avrebbe voluto veder inserito un riferimento chiaro, nell’articolo, alla futura ed, allora, incerta costituzione di una forma di unità europea “Ora, onorevoli colleghi, noi non sappiamo quale sarà l’avvenire dell’Europa;  2431
[7] Corsanengo; Prima Sottocommissione. Il resoconto prosegue: “Fare una Costituzione moderna che finalmente rompa l’attuale cerchio di superbia e di nazionalismo, e sia una mano tesa verso gli altri popoli, nel senso di accettare da un lato delle limitazioni nell’interesse della pace internazionale e col riconoscere dall’altro un’autorità superiore che dirima tutte le controversie, gli sembra che sarebbe mettere la Repubblica italiana tra i pionieri del diritto internazionale” (Corsanego; Prima sottocomissione 453
[8]
[9] Ad esempio la proroga delle funzioni delle Camere per l’impossibilità di svolgere le elezioni
[10] La prassi relativa alla non adozione di una dichiarazione di guerra per seguire i conflitti armati è solitamente denunciata come “frode delle etichette”.
“Quanto alla procedura adottata dagli organi di indirizzo politico la scelta di provvedere mediante deliberazioni non legislative, quali mozioni e risoluzioni parlamentari di approvazione di deliberazioni governative, essa interpreta correttamente il “principio della riserva parlamentare della decisione” (P. CARNEVALE, Il ruolo del Parlamento e l'assetto dei rapporti fra Camere e Governo nella gestione dei conflitti armati. Riflessioni alla luce della prassi seguita in occasione delle crisi internazionali del Golfo Persico, Kosovo e Afghanistan, in Atti del convegno su “Guerra e Costituzione”, Università di Roma 3, 12 aprile 2002, in corso di pubblicazione. Contra C. DE FIORES, cit., 25). In particolare, la mancata deliberazione dello stato di guerra - ex art. 78 Cost. – “non sarebbe un fatto in sé costituzionalmente censurabile se ed in quanto avvenuta in presenza di una decisone parlamentare circa l'intervento dei militari italiani”, in quanto devono essere tenuti distinti i “pronunciamenti sulla guerra” dai “pronunciamenti sullo stato di guerra” (P. CARNEVALE, cit.).” (Costituzionalismo.it; Guerra e Costituzione)
[11] L'ONU, in Rivista del manifesto, 15.02.2003