“L’Italia ripudia la guerra, come strumento di offesa alla libertà
degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie
internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle
limitazioni di sovranità necessarie ad uno ordinamento che assicuri la pace e
la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni
internazionali rivolte a tale scopo
(art. 11 Costituzione)
Tra gli articoli più conosciuti e citati della
Costituzione italiana spicca
sicuramente l’articolo 11, quello contenente i principi fondamentali relativi all’azione della Repubblica
nel contesto internazionale: stampato su striscioni e magliette e divenuto
slogan delle manifestazioni pacifiste ed ha vissuto una fortuna che ne ha fatto
spesso superare il mero dato giuridico per aprirsi ad una concezione valoriale ed immediata: NO ALLA GUERRA!
Il termine più caratteristico del testo – e che ne ha garantito gran parte del
“successo” - è sicuramente “ripudia”, che non era presente nell’articolo
presentato dalla Commissione, ma venne inserito nel dibattito in Aula, ritenendo “che, mentre condanna, ha un valore etico più che
politico-giuridico, e rinunzia[1]
presuppone, in un certo modo, la rinuncia a un bene, a un diritto, il diritto
della guerra (che vogliamo appunto contestare), la parola ripudia, se può apparire per alcuni richiami non pienamente felice,
ha un significato intermedio, ha un accento energico e implica così la condanna
come la rinunzia alla guerra”[2]
Tuttavia, anche se ritenuto “infelice” per i riferimenti storici all’allontanamento
del coniuge, lo stesso termine evidenzia il rifiuto di quella cultura di
potenza e di morte che l’Italia fascista aveva abbracciato con la seconda
guerra mondiale: ripudio quindi, della
cultura fascista, la quale, tramite l’esaltazione della guerra (“igiene del
mondo!” secondo Marinetti)
aveva provato a costruire una nazione di soldati. L’articolo 11 pertanto si
pone radicalmente ne “la più netta antitesi
del passato di aggressione e di conquista”[3]
voluto da “una classe dirigente superata”[4]
Con l’opposizione al passato si chiarisce anche il
fortissimo coordinamento (“unità morale”, venne definita nella
discussione)[5]
-, rappresentato dallo sviluppo del testo in un unico comma con il riferimento
alle “limitazioni di sovranità” necessarie agli ordinamenti internazionali (si
pensava sicuramente all’ONU, ma anche, con forte speranza, all’Europa [6])
Venne infatti evidenziato “che quasi tutte le rovine che
si sono verificate in questi ultimi tempi, sono dovute alla protervia con cui
ogni Stato ha voluto sostenere in modo assoluto, senza limitazioni, la propria
sovranità. Se si vuole veramente arrivare ad un lungo periodo di pace tra i
popoli, bisogna invece che le Nazioni si assoggettino a norme internazionali
che rappresentino veramente una sanzione.”[7]
Se l’unione dei due temi in un unico comma è stata decisa
in commissione[8], il
coordinamento era sotteso anche nelle
intenzioni dell’estensore dell’articolo, Giuseppe Dossetti, (DC), il quale era sostenitore di
una visione – derivatagli dal suo ecumenismo
cattolico - secondo la quale le comunità di donne ed uomini del Pianeta
preesistono agli Stati e dunque formano
una comunità unica: ogni guerra è pertanto una
“guerra civile” e per evitarla è necessario
recuperare un ordine giuridico internazionale.
Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i
poteri necessari
(art. 78 Costituzione)
Tuttavia, com’è normale, la Costituzione non si ferma a
parlare della “pace”, ma traccia anche i necessari impegni istituzionali nel
caso di conflitto[9] e, soprattutto, i necessari e stringenti passaggi formali per dichiarare guerra (aspetto
in fase di revisione con la riforma costituzionale in discussione alle Camere in questi mesi).
Nonostante
ciò, com’è certo che negli ultimi
anni molti militari, sotto le bandiere
tricolori o quelle blu dell’ONU, siano morti in campi di battaglia
lontani, è anche evidente che le Camere
non abbiamo mai dichiarato, seguendo le norme
Costituzionali, lo stato di guerra.
Tutte le volte si sono utilizzati
altri atti parlamentari, molto meno impegnativi e solenni, con la
giustificazione che le attività in discussione non erano “guerre” ma “missioni
di pace” o “umanitarie”, operazioni di “peace-keeping” e “peace-enforcing”, utilizzando il vecchio motto latino “se
vuoi la pace prepara la guerra” per operare una sorta di “frode delle
etichette”.
Indipendentemente dalla legittimità di questo agire, molto discussa in dottrina anche se con
prevalenti accenti critici[10],
sarebbe importante provare a chiederci se, oltre questi diversi nomi, cambi
qualcosa rispetto alle guerre tradizionali che possa giustificare
queste azioni militari-ma-non-di-guerra nel nostro
quadro costituzionale. Ovviamente la speranza sarebbe quella, almeno, di un
cambiamento che porti queste operazioni ad essere meno letali, anche se
le percentuali sui morti civili in questi
nuovi conflitti sembrerebbero sostenere il contrario. Sarebbe infine necessario provare a rispondere alla radicale domanda, posta da Luigi
Ferrajoli[11], se si
possa parlare realmente di “guerra a
tutela dei diritti” oppure se questa espressione non sia che un vuoto ossimoro
ideato per servire antiche ma sempre nuove
politiche di potenza.
Le risposte sono difficili
e toccano le convinzioni personali di ciascuno ma,
anche per questo, servirebbe una discussione profonda, che non si fermi alla
convenienza di politica interna o all’interesse internazionale (od economico?)
del momento, che tenti di arrivare ad una interpretazione completa di guerra
e di pace (solo una “condizione di assenza di
conflitti”, come dice il dizionario?),
riscoprendo il vero dell’articolo 11 della Costituzione, spesso
semplificato in slogan o usato come mero dato
tecnico, sul quale giocare con le interpretazioni.
[1] Termine presente nella formulazione
iniziale
[2] Ruini; Presidente della Commissione per la
Costituzione; Assemblea Costituente, discussione generale 24 marzo 1947; pg.
2432
[3] Ruini; ibidem; pg. 2434
[4] On. Zagari; Assemblea Costituente, discussione
generale 24 marzo 1947; pg. 2433
[5] Intervento dell’On. Zagari; pg 2430 Discussione
generale (24 marzo 1947)
[6] Disse, con forza, l’onorevole Bastianetto, il quale
avrebbe voluto veder inserito un riferimento chiaro, nell’articolo, alla futura
ed, allora, incerta costituzione di una forma di unità europea “Ora, onorevoli
colleghi, noi non sappiamo quale sarà l’avvenire dell’Europa; 2431
[7] Corsanengo; Prima Sottocommissione. Il resoconto
prosegue: “Fare una Costituzione moderna che finalmente rompa l’attuale cerchio
di superbia e di nazionalismo, e sia una mano tesa verso gli altri popoli, nel
senso di accettare da un lato delle limitazioni nell’interesse della pace
internazionale e col riconoscere dall’altro un’autorità superiore che dirima
tutte le controversie, gli sembra che sarebbe mettere la Repubblica italiana
tra i pionieri del diritto internazionale” (Corsanego; Prima sottocomissione
453
[9] Ad esempio la proroga delle
funzioni delle Camere per l’impossibilità di svolgere le elezioni
[10] La prassi relativa alla non
adozione di una dichiarazione di guerra per seguire i conflitti armati è
solitamente denunciata come “frode delle etichette”.
“Quanto
alla procedura adottata dagli organi di indirizzo politico la scelta di
provvedere mediante deliberazioni non legislative, quali mozioni e risoluzioni
parlamentari di approvazione di deliberazioni governative, essa interpreta
correttamente il “principio della riserva parlamentare della decisione” (P.
CARNEVALE, Il ruolo del Parlamento e l'assetto dei rapporti fra Camere e
Governo nella gestione dei conflitti armati. Riflessioni alla luce della prassi
seguita in occasione delle crisi internazionali del Golfo Persico, Kosovo e Afghanistan,
in Atti del convegno su “Guerra e Costituzione”, Università di Roma 3, 12 aprile
2002, in corso di pubblicazione. Contra C. DE FIORES, cit., 25). In
particolare, la mancata deliberazione dello stato di guerra - ex art. 78 Cost.
– “non sarebbe un fatto in sé costituzionalmente censurabile se ed in quanto
avvenuta in presenza di una decisone parlamentare circa l'intervento dei
militari italiani”, in quanto devono essere tenuti distinti i “pronunciamenti
sulla guerra” dai “pronunciamenti sullo stato di guerra” (P. CARNEVALE, cit.).”
(Costituzionalismo.it; Guerra e Costituzione)