[...] To realize the relative validity of one’s convictions and yet stand for them unflinchingly is what distinguishes a civilized man from a barbarian.

–Joseph Schumpeter, Capitalism, Socialism and Democracy

lunedì 23 settembre 2013

Comunicato stampa del Comitato NO F-35 dopo l'incontro con il Ministro Mauro


In data odierna, si è tenuto l'incontro richiesto dal Comitato Bresciano No F-35 al Ministro della Difesa Mario Mauro, avente come tema in particolare il Programma d'acquisto dei cacciabombardieri F-35.
Nel ringraziare il Sig. Ministro per la disponibilità  al confronto, il Comitato ribadisce la sua posizione contraria a questo acquisto sottolineando i seguenti punti:
  - l'acquisto di cacciabombardieri d'attacco risulta essere contrario alla ratio del dettato costituzionale, ed in particolare all'Articolo 11;
  - il Programma, vecchio di vent'anni e tutt'ora inaffidabile (a detta dello stesso Pentagono) è stato già rivisto, modificato e sospeso da alcuni Paesi (es: Canada, Danimarca, Norvegia, Olanda, Turchia), senza conseguenze penali, né di messa in discussione della fedeltà all’alleanza NATO;
  - il Programma rientra in un modello di difesa inaccettabile, che non persegue l'obiettivo della prevenzione dei conflitti, della cooperazione, della pace. Questo vecchio concetto di difesa ha portato alle guerre (definite “umanitarie”), che provocano il 90% delle vittime tra i civili, e di queste il 30% sono bambini;
  - i 90 F-35 costerebbero all'Italia 12 miliardi di euro per il solo acquisto e  altri 50 miliardi per l'intera vita del programma, mentre non si trovano risorse per il lavoro, la scuola, la salute, lo stato sociale;
è necessario un serio dibattito parlamentare su questo tema, che ,in un momento di crisi economica, influisce sui diritti fondamentali dei cittadini, togliendo fondi pubblici alla crescita reale del Paese, al sostegno vero all’occupazione, in particolare per quella giovanile.  

Il Ministro, durante l'incontro, ha ribadito la posizione del Governo a sostegno del Programma F-35. 

Sono emerse divergenze di fondo, in particolare, sull'interpretazione dell'Articolo 11 della Costituzione, sul ripudio della guerra, sull’utilità delle  missioni militari all'estero (Afghanistan in primis) e sul modello di difesa, unilateralmente affidato agli eserciti.

Considerata la complessità dei temi in discussione, il Ministro si è reso disponibile ad ulteriori momenti di confronto.


Contemporaneamente all’incontro, il Comitato NO F-35 ha organizzato un volantinaggio per sensibilizzare la cittadinanza sulla necessità di sospendere la partecipazione italiana al Programma F-35 ( dal 2014) e un presidio davanti alla sede dell’Università Cattolica, dove il Ministro era atteso per un incontro pubblico.




sabato 14 settembre 2013

Intervento alla manifestazione contro il raduno neonazista europeo di Cantù




A questo link (http://www.youtube.com/watch?v=HLAPZMIWDrU) si può guardare l'intervento che ho tenuto a Como, alla manifestazione contro il raduno europeo neo-fascista di Cantù, la sera del 12 settembre.

A tal proposito consiglio la lettura della riflessione proposta dal professor Raffaele Mantegazza:
http://www.raffaelemantegazza.com/index.php?option=com_content&view=article&id=177:lettera-aperta-al-sindaco-di-cantu&catid=1:ultime&Itemid=50

mercoledì 11 settembre 2013

C'era una volta un uomo coraggioso ...


C'era una volta un uomo coraggioso, si chiamava Salvador. Era un uomo coraggioso perché credeva fortemente nelle sue idee, e ci vuole coraggio per farlo.

Era poi un uomo coraggioso e che non si arrendeva mai, tanto che ci provò tre volte per essere eletto come Presidente del suo povero paese, e solo alla terza ce la fece. E un uomo coraggioso, determinato e deciso, al punto da riuscire in soli pochi mesi a far crescere la produzione del suo paese come mai nessuno ci riuscì dopo, e ce la fece attraverso delle decisioni molto difficili e pericolose, perché andavano a colpire nel cuore quel sistema di rapporti malati che erano sempre esistiti fra i potenti del suo paese e quelli di un altra nazione più forte.

Ma a molte persone non piacciono gli uomini coraggiosi, determinati e decisi. A molte persone non piacciono soprattutto gli uomini coraggiosi di cui molti si fidano, di cui il popolo si fida. E qualcuno odia gli uomini coraggiosi, quando piacciono a molti, al popolo, e loro perché ci credono, provano a fare qualcosa per far stare meglio il popolo stesso.

Fu così anche per Salvador, che credeva nel popolo e nel quale il popolo credeva.
Prima furono minacce. Poi blocchi commerciali. Poi scioperi organizzati da quelli a cui non piaceva.
Poi furono pistole e bombe. Poi fu un golpe, in un nero crescendo di toni, di rumori, in cui la sua nuda voce faceva impressione. Era la voce di un uomo, che contro aveva un sistema. Era una voce, sola, in un palazzo, vuoto, sotto le bombe, tante, che pensavano di stare combattendo contro un'idea, e non contro un singolo, uomo.


Potrebbe sembrare una storia, una brutta storia. E' però la Storia. La brutta Storia.
La Brutta Storia del primo 11 settembre. Dell'11 settembre mediaticamente dimenticato, che non riceve commemorazioni in tutti i paesi ed editoriali su tutti i giornali. Dell'11 settembre dell'America Latina, dell'11 settembre della Democrazia.
Ed a noi, al mondo occidentale, generalmente non piace quell'11 settembre, perché tutti in fondo sentiamo come ci abbia colpito e forse cosa poco abbiamo fatto, come paese, come Europa, come mondo, per negarlo.

Ma poi, non ci piace ricordare quell'11 settembre, l'altro 11 settembre, perché in quel palazzo presidenziale neoclassico, insieme a Salvador Allende, c'eravamo forse anche un po' anche noi.

Che fossimo lì nei panni di uomini sconvolti di come la democrazia potesse cadere in questo modo, attaccata da un'altra democrazia più grande.
Che fossimo lì nei panni di uomini spaventati per come quelle vicende stessero drammaticamente dimostrando che è impossibile ottenere una via al socialismo che non sia rivoluzionaria o che non vada a patti con altre forze.
Che fossimo lì come democristiani, dopo aver dato per anni dei fondi economici a tutti i nemici di Allende, e, forse, ci sentissimo un po' in colpa.
Che fossimo lì nei panni di semplici persone che vedevano morire un uomo onesto con la testa alta per essere riuscito a salutare il suo popolo, e sentissimo semplicemente la grandiosità di quell'attimo.
Qualunque panno portavamo, dalla giacca alla tuta blu, quel giorno eravamo tutti lì, alla Moneda con Salvador Allende.

E le nostre ferite sono ancora aperte come quelle del popolo cileno.





La parte


 “Bisogna essere di parte per essere di tutti”

Se non si sceglie una parte, muore l'interesse e la curiosità. Vince l'opportunismo.
Se non si sceglie una parte, vince la solitudine, la parcellizzazione della società.
Se non si sceglie una parte, vince l'interesse capitalistico, che invece di essere interesse di gruppo, è interesse dei pochi. O meglio,  interesse dei potenti.
Se non si sceglie una parte, appassiscono alcune categorie, ma non per questo siamo tutti uguali. Muoiono le categorie sociali e politiche, trionfano quelle razziali, culturali, che sono esse stesse parte, e parti dalle quali è impossibile separarsi. Vince l'ontologia sulla libertà della scelta.
Se non si sceglie una parte, vince la reazione, vince lo status quo, vince l'immobilismo sociale.
Se non si sceglie una parte, muore il conflitto, muore la dialettica. Muore anche la sintesi, quindi, la cooperazione.
Non si sceglie una parte invece del tutto. Il tutto non si può considerare mentre lo si vive. Si sceglie una parte invece del niente.
Scegliere una parte non vuol dire adottare dei metodi, vuol dire scegliere una direzione.
Scegliere una parte non vuol dire ricopiare la storia passata, vuol dire continuarla, scriverla e riscriverla per gli stessi obiettivi.
Scegliere una parte vuol dire generare un movimento, uno spostamento, della forza creativa [1].
Scegliere una parte vuol dire adottare un sogno.
Scegliere una parte vuol dire trovare l'energia di respirare nel divenire e non nella difesa del passato.




"Il processo della fusione e dell'unità si opera cioè attraverso 
una esasperazione della dualità"
(Giuseppe Grosso; Storia del diritto romano) 

Sono partigiano, vivo, [...] perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
(Antonio Gramsci; Scritti giovanili)





[1]     Etimologia di “parte” secondo il dizionario etimologico Rusconi: “dal latino pars (=porzione), da un più antico *pors, dalla stessa radice di parere (=generare) [...].










lunedì 9 settembre 2013

Ai professori mai avuti




Caro professore,
non la conosco, né lei conosce me. Ma se io qualcosa di lei so, so che ha un titolo di studio ed un ruolo che la porteranno ad essere seduto dietro ad una cattedra, lei di me non sa niente. 
Questo potrebbe già essere un primo inconveniente nella nostra relazione. Come si fa a comunicare? A comunicare gli argomenti più alti della cultura umana, senza conoscerci? Senza chiamarci per nome? Come può la comunicazione non passare da un riconoscimento reciproco? Ecco, una cosa le chiedo, professore che tra poco conoscerò: di chiamarmi per nome. E con nome non intendo necessariamente il nome di battesimo, ma anche il cognome: è indifferente. Non le chiedo di rivolgersi a me coi soprannomi o di fare l’“amicone” a scapito della sua serietà. L’importante è solo che lei non mi chiami usando perifrasi arzigogolate che interessano il colore della maglietta e la mia posizione nella classe. Chiamare le cose per nome è una delle prerogative dell’uomo. La prego, mi chiami per nome. Facciamo finta di conoscerci, di condividere qualcosa che non sia solo per lei il modo di prendere uno stipendio e per me quello di adempiere l’obbligo scolastico.
Impegniamoci a condividere un rapporto di crescita reciproca. Un rapporto che sia personale e bilanciato anche se, ovviamente, non paritario. Non ci può essere, per ovvi motivi, un rapporto simmetrico fra un insegnante ed uno studente, e cercarlo, sia da una parte che dall’altra, è forse un’utopia che può portare solo alla distruzione di questa relazione. Tuttavia spero che il suo “essere un passo avanti” si presenti sempre come un fatto di qualità, non d’autorità. Capita spesso che ci siano professori che, ai dubbi degli studenti, rispondono: “Ho ragione io perché sono io da questa parte della cattedra”. Come si fa a crescere con una risposta così? Non sarebbe stato meglio ragionarci insieme, spiegare ancora una volta la stessa cosa, pur di renderla chiara? Lo so: il tempo incalza e i programmi sono lunghi, ma bisognerebbe tenere sempre a mente che non sono i programmi l’obiettivo dell’Istituzione scolastica, ma le persone. E soprattutto le persone non straordinarie, quelle che ci mettono di più ad assimilare un concetto, le persone che forse non andranno mai all’Università o che non prenderanno mai un master, ma che vanno protette e ascoltate proprio forse perché questi anni sono gli unici in cui potranno avere qualcuno che li ascolti, qualcuno che sia lì per far vedere a loro quanto di bello c’è al mondo.
E poi è solo da questo tipo di rapporto che può nascere qualcosa. Qualcosa di nuovo, intendo, non una semplice ripetizione di vecchie date e bei versi, ma l’assimilazione di qualcosa di più profondo, che sia il sospiro di Dante e di tutti gli uomini davanti al passaggio di Beatrice o di qualche altra donna, o lo stupore di fronte a dei testi di psicologia che parlano anche di me.

Mi piacerebbe poi ricordare che io non sono un oggetto per il quale è quantificabile un valore. Un “prezzo” esprimibile in decimi che possa rendermi economicamente giustizia sul mercato del lavoro. Un voto è un punto di partenza, non una parte della mia ontologia. Un punto di partenza su cui lavorare e discutere, ma non un’etichetta definitiva del mio sapere su di un determinato argomento. È per questo che mi spaventa abbastanza l’introduzione del registro elettronico. Non rischia di divenire forse un altro muro in questa già difficile elaborazione di un risultato? Non rischia di essere lo strumento che estrania completamente la componente studentesca dal processo di apprendimento?
A questo riguardo le volevo chiedere anche di essere felice dei miei successi. Se prendo un buon voto non può essere una gioia solo mia, ma mi piacerebbe molto condividerla anche con lei. Credo che sia l’unico modo per non rendere il nostro anno scolastico una sfida tra me e lei, ma una scalata “sulle spalle dei giganti”. Una scalata in cordata con lei.
Una scalata che forse non mi servirà a nulla nella vita. E come quando si torna in pianura a poco servono gli insegnamenti della montagna, così, fuori da scuola, a poco serviranno gli argomenti studiati. Tuttavia scesi da una vetta, guardati nuovi ampi paesaggi non si è più gli stessi. Si è più adulti. La prego quindi di non ripetermi più la vecchia bugia che l’Infinito e le derivate mi serviranno “da adulto”. Forse sarebbe meglio e più onesto dire che mi serviranno “per diventare adulto”.

Alcune leggi giapponesi statuirono che d’innanzi all’imperatore i maestri erano gli unici a poter restare seduti. Ho avuto un professore che si alzava quando entravano i bidelli a portare le circolari. “È un gesto di rispetto ed accoglienza”, diceva. Da una storia ho potuto imparare l’importanza sociale dei maestri per la loro saggezza. Dall’altra in che cosa consiste questa loro saggezza. Ho avuto professori che non si sono mai lasciati sfuggire un sorriso in classe, ma che si vedeva che ci volevano bene esattamente come quelli che sapevano scherzare sulle formule chimiche.
Questi sono solo pochi dei tanti volti dei professori: tutti ugualmente belli e interessanti.
Non credo che si possa pensare di farne una classifica, di eleggerne uno o un atteggiamento migliore. Raggiungono tutti il loro obiettivo: segnano. Segnano nell’animo, seminano un campo ancora incolto di esperienze e tenuto a maggese da tanto tempo.
Ma ognuno alla fine sceglie i propri maestri, e in questo campo l’istituzione scolastica può fare poco, se non fare delle proposte, sperando che vengano accettate o prese come esempio. Sperando che il sorriso dell’intelligenza che si può scorgere sul viso di alcuni professori possa essere un punto di riferimento in un mondo in cui spesso domina il ghigno sadico del potente di turno.

Infine le esprimo solo un ultimo desiderio: se può, alla fine di ogni lezione, mi lasci almeno una domanda. Una domanda sola: che sia il nome di un autore o la formula di un composto. Le assicuro quella domanda è spesso più importante di tutte le risposte che può darmi durante una lezione, perché sarà il mezzo con il quale capirò che la vera scuola è ricerca. Che la vera scuola inizia fuori dalle mura di questa “nave senza nocchiere in gran tempesta”.

A presto




Articolo pubblicato dalla rivista "Scuola e formazione" nel settembre 2013

Articolo su Nuova Resistenza dopo l'incontro alla festa "Bella Ciao"

Con Nuova Resistenza la «seconda vita» Anpi

I GIOVANI. L'associazione ha scongiurato il pericolo del reducismo
I giovanissimi «nuovi resistenti» alla festa Bella Ciao di Sant'Eufemia
I giovanissimi «nuovi resistenti» alla festa Bella Ciao di Sant'Eufemia
«Ho sentito l'esigenza di unirmi a Nuova Resistenza perché sono convinto che tocchi a me e ai miei coetanei il compito di custodire e preservare la memoria: un giorno saremo noi a passare il testimone in un'ideale staffetta tra generazioni». Andrea, studente liceale, da poco arrivato tra i gli studenti che hanno dato vita, da quasi un anno, al gruppo giovanile nato da una costola dell'Anpi di Brescia, spiega così le ragioni che lo hanno spinto all'impegno personale. La festa «Bella Ciao», che si è conclusa ieri sera negli spazi del circolo Arci di Sant'Eufemia, ha rappresentato l'occasione per illustrare le ragioni che hanno portato questi ragazzi a far parte prima dell'Anpi, l'Associazione nazionale dei Partigiani, e poi a farne nascere la sorella minore.

domenica 8 settembre 2013

Comunicato del Coordinamento bresciano NO F-35 sulla guerra in Siria


L’impiego di armi chimiche contro popolazioni inermi è e rimane un crimine contro l’umanità che non possiamo che condannare fermamente da qualunque parte provenga, così come, altrettanto fermamente, condanniamo l’utilizzo di qualunque altro tipo di armi, comprese le armi leggere che partono dalla nostra provincia e che sono le vere “armi di distruzione di massa”.
Ora, dopo quasi centomila morti e due milioni di sfollati, la comunità internazionale, che  prima non è stata in grado di imporre l’embargo delle forniture di armi verso la Siria, si prepara ad un intervento militare nel paese, riproponendo percorsi fallimentari già sperimentati anche dall’Italia in questi ultimi lustri, sia collaborando con le iniziative militari unilaterali NATO in Iraq , Kossovo e Afganistan, sia agendo sotto l’ombrello di una ambigua interpretazione di una decisione ONU in Libia,  aree tuttora destabilizzate dove la pace appare come una chimera.
Nel dichiararci assolutamente contrari a che l’Italia venga ancora una volta coinvolta, in barba all’art.11 della Costituzione, in interventi militari fuori dal nostro territorio, carichi di incognite e forieri di tragiche conseguenze, ribadiamo che la via per uscire dal conflitto non può assolutamente essere quella delle armi e della guerra che può provocare un incendio di proporzioni inimmaginabili, come si è visto ormai in molti altro casi.
Le logiche militari invece di risolvere i conflitti, li aggravano, perciò auspichiamo che ci sia un serio ripensamento nel  governo e nella maggioranza che lo sostiene affinchè l’Italia rifiuti qualunque sostegno anche indiretto (utilizzo delle basi e diritto di sorvolo) all’intervento armato, esprimendo una posizione finalmente non subalterna a logiche di potenza e in sintonia con le speranze dei nostri costituenti che l’hanno voluta impegnare al “ripudio della guerra”,
Bisogna abbandonare la logica delle armi e adoperarsi per una risoluzione nonviolenta dei conflitti, promuovere i Corpi Civili di Pace come forze di interposizione al di sopra delle parti, rilanciare l’opzione diplomatica e politica che coinvolga tutti gli attori compresi Russia e Iran, utilizzare gli strumenti del diritto internazionale,  ma soprattutto cessare immediatamente ogni fornitura militare alle parti in conflitto.
E’ inoltre assolutamente necessario coinvolgere i movimenti nonviolenti siriani come il Movimento Mussalaha che da tempo si adoperano per una soluzione del conflitto “dal basso”, basata sul dialogo e la riconciliazione, che rifiutando logiche di divisione, segregazione e smembramento del Paese, lavorano per la preservazione dell’equilibrio civile e religioso preesistente alla guerra, per l’autodeterminazione, la non ingerenza e il diritto internazionale.
Queste forze esistono e operano e benché sistematicamente ignorate dalla diplomazia internazionale, vanno coinvolte , valorizzate e sostenute.
Un intervento armato non porterà la pace, ma solo distruzione e altra violenza.

Se vogliamo la pace prepariamo la pace.


Brescia, 7 settembre 2013
Coordinamento Bresciano NO F-35 (M.I.R., Movimento Nonviolento, 
Pax Christi, Emergency, Nuova Resistenza Brescia)