Quocumque
Non si sa mai cosa si può trovare negli scantinati dei
vecchi palazzi metropolitani. Di solito ombre e polvere. Scatoloni
numerati e scatole degli attrezzi
arrugginite. E, tra i Ricordi e i Desideri, dei castelli di carte. Tanti castelli
di tarocchi che mai videro la luce del sole e che mai nemmeno presero il nome
di Sogni: sembrerebbero certezze, o meglio, Fantasie diventate certezze per
consunzione della mente.
Si racconta che
ogni tanto capiti che una leggera brezza, entrata da una qualche finestra
lasciata aperta, alzi un po’ di polvere e faccia cadere la torretta di queste
fortezze: la cima dell’iceberg delle nostre troppo folli o eccessivamente
razionali sicurezze, l’ultimo anello di queste nostre auto-imposte catene.
Talvolta accade anche che la polvere sollevata prenda la forma di alcuni di
questi tarocchi caduti, acquisendo l’immagine delle due carte, delle due
figure, che formano la torre: e pertanto della carta uno del mazzo, lo
scienziato, e della carta numero zero, che rappresenta il matto.
Si trovarono così,
anche in quel giorno di torrida afa metropolitana, a fronteggiarsi due numeri,
due personaggi , due idee, due filosofie…due ombre quindi.
Il signore vestito bene tirò fuori un orologio a cipolla.
Squadrò il compagno: «Abbiamo poco tempo» disse. L’altro, dai vestiti
stracciati, sorridendo vacuo rispose: «No. Tu hai poco tempo. Io non considero
il tempo: è sempre lo stesso. Io non cambio guardaroba con le stagioni. Non mi
interesso quindi del tempo io.» «E si vede», ribatté il signore ben vestito in
tono sprezzante, donando un secondo di commiserazione alla figura seduta in
modo scomposto sul pavimento e chinandosi subito a disegnare delle linee
parallele nella polvere del pavimento, sotto lo sguardo disinteressato dell’altra
ombra. In breve tempo quelle righe, tracciate con gesti metodici e precisi,
cominciarono a prendere la forma di una scacchiera, del campo di battaglia più
violento al mondo. L’immagine del matto sembrava quasi non voler prendere parte
a quello strano rito, come se ne fosse stata costretta dal Fato o Caso stesso:
non da una sua precisa volontà. Solo quando dal panciotto l’ombra del savio
tirò fuori i pezzi del gioco un breve sguardo gli cadde sugli sporchi riquadri
del pavimento racchiusi fra le varie linee appena tracciate. Sospirò. «Dobbiamo
davvero?» chiese, e vedendo il cenno d’assenso dell’altra ombra si mosse,
tentando di risultare composto davanti alla scacchiera sulla quale avevano
preso già posto tutte le pedine del gioco. Erano pedine bianche e nere, ma
erano pedine strane, erano pedine con forme strane e che rappresentavano personaggi diversi per
i due contendenti, sempre che si potesse dire che possedevano un’immagine sola.
Il bagatto cominciò facendo avanzare uno dei suoi bianchi pedoni. «Mi lanci la
rivolta?» disse sorridendo. Il matto chiuse gli occhi e mosse una pedina a caso
davanti a lui. I due giocatori in quella sporca cantina lo sapevano: da qualche
parte del mondo si stava preparando una rivolta contro una violenta dittatura.
Si era pronti allo scontro fra servi del potere e schiavi dell’idea. Lo
immaginavano e ne prendevano atto giocando quella partita, rappresentando e
guidando quei lontani destini. I pedoni si avvicinarono anche durante la mossa
successiva: si fronteggiavano ora in una lontana piazza le due distanti
fazioni. Il bianco mosse allora il cavallo al centro della scena, mentre il
nero continuava a mandare avanti a caso i suoi pedoni, i suoi guerriglieri. Il
cavallo sembrava nitrisse dalla sua posizione privilegiata nel cuore della
partita. La sua essenza si poteva sentire nella brezza che entrava nella
finestra: il suo esistere sia come camionetta che avanza tra i cassonetti
bagnati di fuoco e l’odore aspro dei lacrimogeni, sia come professore che
spiega appassionato le Categorie di Aristotele, nel torpore umido di un’Aula Magna
alle prime ore dell’inverno. Come portando avanti un infantile tentativo
d’imitazione, anche la carta numero zero fece avanzare la cavalleria:
nell’ordinata aula universitaria un vecchio greco condannato per empietà stava
spiegando le ragioni del relativismo personale e della maieutica. Seccato per
questa interruzione, il professore lasciò la parola alla slanciata figura di un
giovane tedesco, arrivato sotto forma di regina, che sognava l’ordine matematico,
e la risoluzione degli ultimi problemi logici nella stessa: nei suoi occhi la
Tour-Eiffel, nella sua testa un mondo ancora vergine della crudeltà umana. Nel
frattempo, dirimpettai si squadravano un pallido Cicerone e, fiero nelle sue
ombre, un giovane Catilina, che scrutavano il proseguire dello scontro dal
centro delle rispettive schiere, e si meravigliavano della forza retorica del
giovane tedesco, a cui però il giocatore nero rispose, sempre tentando di
copiare le mosse dell’avversario, mostrandogli lo statico crollo dei suoi sogni
con un giovane Gödel, ancora stupefatto per la sua dimostrazione e per l’aver
appena bloccato la regina avversaria esattamente come il cavallo bianco aveva
prima rotto i sogni dei pedoni neri. I due romani guardavano con interesse la
scena: sicuramente non capivano le raffinate argomentazioni logiche che
rilucevano nell’aula universitaria o gli slogan che si vomitavano nella lontana
piazza. Ma avevano forse capito il significato di quel gioco, e questo gli
bastava. Non era una partita che aveva un senso, come la vita scorreva e
appassiva nei momenti di piena e di secca del fiume personale delle emozioni:
quel gioco era semplicemente la rappresentazione esemplare del pòlemos che
sembra guidare ogni azione umana, quell’essenza di accogliente nonsense e di
fredda razionalità propria della stessa esistenza umana, propria degli uomini,
propria degli esseri che più di ogni altro sono pronti a sognare ed
annichilirsi allo stesso momento.
La sfida rotolò avanti quasi per inerzia, come seguendo
un copione che durante le varie riprese vede solo cambiare gli attori ma mai le
battute. Non ci volle molto comunque ed impalpabili scommettitori avrebbero
avuto vita molto facile dinnanzi ad una partita del genere…
«Scacco matto», declamò infatti dopo poco tempo una voce
calma e profonda. Silenzio. Il matto rise: «Ho vinto quindi?» «No idiota. Hai
perso. – ribatté il bagatto - Hai perso
come ieri e come l’altro ieri. Hai perso come sempre. Siamo ancora uno a zero
per me, prima di ricominciare la stessa partita e dimenticarci questo punteggio
come i mille precedenti.» «Uno a zero hai detto?» domandò il perdente, che dopo
un rapido gesto d’assenso dell’altra figura continuò: «Hai notato? Sono come i
nostri numeri…sì…i nostri numeri, le nostre essenze: io, zero, tu, uno…» «Sì,
bene. E cosa cambia. Dai, smettila di guardarti intorno e aiutami a ridisegnare
la scacchiera, essere inutile.» «Senza
zero, senza di me, non lo fai mica però l’alfabeto dei computer…la cosa
tua, quella cosa matematica, importante, ne ho sentito dire…» tentò, con un
moto d’orgoglio l’ombra. «Il codice
binario vorresti farmi intendere? – sorrise l’azzimato signore - Ma cosa
c’entra? Lo sai, te l’ho già detto: il tuo unico scopo è essere il mio compagno
di giochi. È farmi divertire… è inchinarti dinnanzi alla mia mente. La tua
utilità è mettere le tue illusioni, i tuoi sogni, le tue ideologie, e sì, i
tuoi castelli di carte davanti a me: a me, non illusionista, mago, a me, non
sognatore, politico, a me, non idealista, venduto. Io sono il fumo di macchina
a vapore pronto a far crollare i tuoi castelli di carte. E il bello è che lo
sai anche tu. Ma non puoi capirlo. Non hai la capacità per capirlo.» Ci fu una
lunga pausa prima che l’ombra dai vestiti sgualciti smise di fissare con
interesse uno scatolone e si decise a rispondere: «Ma noi qui stiamo
insieme…dovunque siamo insieme!» «Sì, hai ragione effettivamente. –disse
pensoso la figura ben vestita- Solo raramente stiamo separati. Dovunque siamo,
nel contrasto, uniti. Ma cosa vuol dire ciò, se non che sei il mio giullare?
Avevi ricordato i numeri no? Io uno e tu zero, vero? Ti sei mai chiesto cosa
faccia uno più zero, pezzente? Fa uno mio caro. Fa uno. Vinco io. Sempre.» La
leggera corrente che attraversava la stanza e permetteva questo curioso
teatrino stava cominciando ad affievolirsi, come se sapesse che il tempo della
rappresentazione stava finendo, che il suo lieve soffio era richiesto per far
sollevare un qualche lontano Livingstone da una qualsiasi sperduta scogliera.
Tuttavia era strano come la figura del folle perdesse una consistente quantità
di polvere dal viso: il venticello avrebbe dovuto ancora reggere il suo caduco
corpo. Sembrava quasi che stesse piangendo. «Ma non siamo solo noi vero? Noi
siamo tanti Noi. Noi siamo qua e là, noi siamo giù e su, vero? Ma noi
siamo…vero?» riprese lamentosa la figura perdente. «No, noi non siamo. Ma sì,
noi siamo dovunque. Direi quasi che ci stiamo moltiplicando negli ultimi tempi.
Che queste nostre partite stiano diventando sempre più frequenti…», ribatté
seccato l’altro. «Moltiplicato…cosa vuol dire?» insistette l’ombra del matto.
«È un’operazione, come la somma di prima, stupido. Celere che dobbiamo
ricominciare!» rispose veloce la carta del bagatto, cominciando a raccogliere i
suoi pedoni. «Solo un attimo. Un ultimo
attimo. Hai detto che siamo moltiplicati. E cosa facciamo noi moltiplicati?
Cosa facciamo?» Ci fu un secondo di silenzio prima che il numero uno scoppiò in
una fragorosa risata. «Di quanto vinci tu,-insistette l’ombra che, forse a
causa del pianto, stava già diventando più evanescente- se siamo moltiplicati? Dai! È la mia ultima
problema! Dai! Perché ridi?» Questa domanda si spense nel riso sempre più
convulso del bagatto, che da risata divenne rumore, da rumore, sottofondo, da sottofondo, sussurro,
e da sussurro si disperse nell’ultimo alito di vento che fuggì da quella
cantina.
Nessuno entrò in quel luogo per parecchi giorni. Solo un
bambino, alla ricerca di nuove grotte e nuovi draghi da affrontare, vi si recò.
Sulle orme del terribile Fiammadoro, non si curò molto del piccolo re da
scacchiera rimasto a terra che schiacciò con un piede. Lo allontanò
semplicemente con un calcio, subito dimenticandolo, preso dalle sue importanti
incombenze.
Non saprebbe dirci di che colore era.
marco castelli
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