Il tramonto di Fossoli
Primo Levi
Io so cosa vuol dire non tornare.
A traverso il filo spinato
Ho visto il sole scendere e morire;
Ho sentito lacerarmi la carne
Le parole del vecchio poeta:
"Possono i soli cadere e tornare:
A noi, quando la breve luce è spenta,
Una notte infinita è da dormire"
(7 febbraio 1946)
Ha quattro frazioni la città di Carpi, medaglia d'oro al valor civile per la Resistenza, città ancora ferita per il terremoto del maggio 2012 e storicamente parte dell' "Emilia rossa". Budrione, Cibeno Pile, San Martino e Fossoli. Soprattutto Fossoli.
Fossoli in verità non è una frazione come quelle normali, come le altre di Carpi. Fossoli è principalmente un buco. Una pietra d’inciampo per molte coscienze italiane, che, invece di guardarlo, preferiscono continuare ad incensare il mito di "italiani brava gente" e di pensare con disapprovazione a quale abiezione morale poté permettere ai tedeschi di costruire i campi di concentramento.
Quelle lunghe schiere di casette, ormai riconquistate dalla vegetazione, sono molto diverse da com'erano 70 anni fa. Ci sono stati di mezzo il periodo di Nomadelfia e del villaggio per i profughi istriani, ma, se il campanile scolorito che sovrasta una delle ultime casette del campo può richiamare altre storie, è la silenziosa solitudine di questo luogo a far capire che qualche cosa non va. Che qualche cosa, in questo luogo, si è fermato.
Per provare a capire delle narrazioni lontane, bisogna cercare un termine di paragone. Solitamente questo termine è il proprio vissuto o almeno alcuni aspetti di esso. Ma che paragone posso trovare con la fame, la solitudine, il freddo ed i soprusi di un campo di concentramento? Serve altro.
Quest’altro in questo caso poteva essere un tramonto. Sarà che ad Auschwitz e a Fossoli la grande pianura fa risaltare il cielo più dei grattacieli della città. Sarà che davanti alla primitiva barbarie o, come nella definizione del filosofo Levinàs, davanti al male elementare si ricerchino, per superarlo, segni elementali. Sarà che, davanti al sole che s’immerge nella pianura emiliana tornano alla mente le parole del vecchio testimone Primo Levi: “Io so cosa vuol dire non tornare/A traverso il filo spinato/Ho visto il sole nascere e morire”. Ma neanche questo basta.
Ed è difficile, mentre si provano a liberare dalla fitta vegetazione gli edifici diroccati per il tempo e per il terremoto, pensare che una volta lì era tutto cemento e reticolati di spine.
Il terremoto ha reso pericolanti le poche strutture recuperate, la vegetazione cresce incolta dovunque, ed il piazzale dell’appello per l’opera di riutilizzo del luogo di don Zeno potrebbe sembrare un parco, se non fosse per alcune corone di fiori ed un ulivo nel centro.
Il luogo sembra muto, ed è compito dei volontari provare a raccogliere le fila della sua narrazione per ricominciare a fargli raccontare la sua storia.
E’ stata questa una delle riflessioni che hanno attraversato le attività del campo estivo di volontariato organizzato dalla Fondazione ex-campo Fossoli con il sostegno dell’ANPI e di molte altre realtà locali. Attività che ha portato a Fossoli 12 ragazzi da tutta Italia ed Europa, selezionati tramite concorso, per lavorare sui temi della memoria e dell’antifascismo a partire dal lavoro di sistemazione dell’ex-campo di concentramento. L’attività è stata molto interessante ed arrichente, ed è riuscita ad unire l’attività pratica del lavoro sul campo e sui cippi dei partigiani ad incontri, riflessioni, momenti di confronto e visite a mostre e luoghi vicini, come Casa Cervi e Monte Sole, un posto drammaticamente sconvolgente.
A Monte Sole, luogo dell’eccidio di Marzabotto, sono nettamente diverse le sensazioni rispetto a quelle che si provano al campo di concentramento di Fossoli. Lì il tempo si è fermato a quel giorno e le croci di ferro, ancora accatastate agli angoli del piccolo cimitero che fu teatro di una terribile carneficina, sembrano essere lì da sempre. Bisogna ripercorrere le stazioni di un Golgota laico per arrivare in questo luogo, passando oltre i resti di un villaggio completamente raso al suolo dalla furia nazi-fascista. Bisogna superare le mura pericolanti di una chiesa distrutta sempre in quella rappresaglia. Bisogna ripercorrere i sentieri dei partigiani. Tutto questo per arrivare a quel cimitero. Il vento soffia dolce fra le fronde di questo luogo immobile. L’unico segno di discontinutà in questo scenario è rappresentato da una tomba vicino al muretto di confine. Una tomba più chiara delle altre, il sepolcro di Giuseppe Dossetti, padre costituente.
E’ circondata da rose la tomba di Dossetti. Le stesse rose che spuntano dalle lastre di cemento che formano il monumento al deportato politico e razziale a Carpi, le stesse rose che profumano i giardini di casa Cervi, gli stessi sogni che anche oggi hanno senso, hanno prospettive ed hanno futuro.
Marco Castelli