C'è una sola grande moda: la giovinezza.
(Leo Longanesi)
Un secolo dopo gli esteti di fine Ottocento, anche i politici arrivano alla stessa conclusione: essere giovani è "figo". Avere dei giovani in lista è "fighissimo". Avere il supporto di un gruppo giovanile porta voti ed è assurdamente "figo". (Avere il lifting che dovrebbe far sembrare te stesso giovane ed andare con le minorenni, poi, è ancora più "figo" di tutto, ma questo è un lusso per pochi eletti).
Tutto ciò che produce questo atteggiamento è praticamente ovvio, ed anche a livello bresciano, abbiamo potuto vedere i frutti di questa mentalità ed assistere a liste di soli "giovani” a supporto di un solo "vecchio" (esemplare il caso di Brescia Futur@); al più giovane candidato alla carica di consigliere che ha trovato spazio nel partito dei Pensionati ed, infine, a candidati sindaci che chiamano a destra e a manca alla ricerca di un "giovane". Alla ricerca, quindi,di un esponente, uno qualsiasi, mediamente intelligente e che non mangi troppo, che provenga da quella categoria separata dell'essere, dicono, che è la gioventù.
E dopo le elezioni? Quando nessun giovane verrà eletto in Consiglio per la naturale diffidenza nei confronti di chi ha solo idee e non titoli o appoggi elettorali importanti? Cercare con loro altri spazi di partecipazione democratica e politica, nei quali farli esprimere liberamente, magari anche con posizioni scomode per la giunta in carica? Beh, è giusto che i giovani trovino il loro tempo: ma arriverà, arriverà...
Ma intanto, "oh che bell'idea", facciamo un assessorato alle politiche giovanili. Basta che si nomini un assessore tranquillo, che magari eviti di dire, come l'assessore uscente, che il progetto "Un treno per Auschwitz" è, dopotutto, una gita per stringere rapporti fra coetanei. Dopo magari facciamo anche - "oh che bell'idea" - un progetto con la collaborazione dei "divi del sabato sera”, per una qualche notte colorata in centro, e più vicini ai giovani di così proprio non si può!
E intanto i veri problemi restano senza rappresentanza, ma, a quanto pare, poco importa, finché non ricomincerà il grande circo delle elezioni e queste scene si rivivranno da capo.
Ma, oltre tutto ciò, che potrà magari a molti risultare poco interessante, forse l'aspetto che più di ogni altro è pericoloso di questa situazione è la rottura della narrazione. Di una narrazione costituita da un vissuto comune che accomuna tra loro generazioni distanti e rappresenta la storia di un progetto comunitario.
Questa è una cosa che non può essere vista a scatole chiuse. A generazioni separate. Di fascia d'età in fascia d'età, senza quindi riuscire ad avere una visione comune.
Senza riuscire a comunicare le idee che hanno fondato il nostro vivere insieme.
Senza riuscire a comunicare l'indirizzo e l'esperienza comune.
E così si continuano a perseguire le utopie neo-positiviste della "smart-city”, sostenendo che questa è il sogno dei giovani (di 30 anni fa magari), mentre invece quelli di oggi vorrebbero invece potersi incontrare in centro senza il rischio di rimanere chiusi fuori dalla metro se fanno tardi.
L'essere giovani non è una categoria metafisica separata dal resto. E' una condizione biologica temporanea, che non toglie alcunché alla possibilità di analisi, ma, anzi, cambia il modo di approcciarsi alle questioni, senza odi secolari, ma con una passione molto maggiore.
Mi sembra che questo valga qualcosa, no?
marco castelli